Da La Stampa del 13/05/2005
Il coraggio di guardare alla realtà
di Mario Deaglio
Una «difficoltà momentanea», un male comune a tutta l’Europa, un «effetto Pasqua» (in quanto la festività ha ridotto i giorni lavorativi): con queste spiegazioni rassicuranti, autorevoli esponenti del governo hanno cercato di minimizzare le notizie negative sull'andamento della produzione italiana. La realtà, purtroppo, è ben diversa: ormai da oltre un decennio l’Italia cresce sensibilmente meno della media dell’Unione Europea e il segno negativo della produzione di questo trimestre, dopo la diminuzione verificatasi nel periodo ottobre-dicembre 2004, è accompagnato da notizie, sempre più fitte e sempre più allarmanti, di settori produttivi in difficoltà.
Non nascondiamo quindi la testa sotto la sabbia sperando nella primavera e nell'estate. Guardiamo invece, senza polemiche e senza faciloneria, alla malattia, né leggera né facile da curare, né interamente imputabile a questo governo, che affligge l'economia italiana. Si tratta di un morbo pericoloso e complesso che mina le basi del nostro benessere e crea problemi di breve e di lungo periodo.
Se si considerano i rimedi possibili nel breve termine, appare ormai evidente che una semplice politica di sgravi fiscali non è sufficiente al rilancio, e forse neppure al sostegno, della domanda. I soldi non versati al fisco vengono in buona parte tenuti in banca e non spesi da cittadini e imprese timorosi del domani, oppure servono a comprare prodotti provenienti, in misura sempre maggiore, dall’estero. Convertiti in spesa pubblica, gli stessi soldi potrebbero avere, a certe condizioni, un effetto di stimolo maggiore, anche se probabilmente non risolutivo; occorre proseguire sulla strada di riforme già percorsa con successo da altri Paesi, senza scartare l'eventualità di un inasprimento fiscale, che si traduca in un aumento mirato di spese in settori in cui l'Italia ha accumulato debolezze. Se vogliamo trovare una soluzione, invece di sperare che essa ci piova dal Cielo, bisogna smettere di pensare secondo le linee tradizionali.
Se invece si guarda all’economia italiana in campo lungo, appare chiaro che l’Italia ha perduto la vocazione produttiva che si era data dal dopoguerra, è uscita da molti settori-chiave e si è indebolita in tutti. Su queste difficili premesse, occorre progettare il Paese del futuro, che sarà, in ogni caso, fortemente carente di giovani e sovraccarico di anziani, che dovrà pur continuare a guadagnarsi il pane nell’economia internazionale e che comunque non può pensare che tutto continui per forza d’inerzia.
Molti progetti sono possibili ma nessuno viene in realtà approfondito; né la maggioranza né l’opposizione hanno finora presentato un quadro di come si immaginano, di come vorrebbero che fosse l’economia di questo Paese di qui a vent'anni. Un simile vuoto programmatico è indizio di scarsa visione politica prima ancora che economica; quasi si esorcizzano questi problemi, forse per paura di affrontarli. Non la speranza che il trimestre prossimo sia migliore ma il coraggio di guardare senza troppi pregiudizi alle difficoltà correnti è il primo requisito per poterle superare.
Non nascondiamo quindi la testa sotto la sabbia sperando nella primavera e nell'estate. Guardiamo invece, senza polemiche e senza faciloneria, alla malattia, né leggera né facile da curare, né interamente imputabile a questo governo, che affligge l'economia italiana. Si tratta di un morbo pericoloso e complesso che mina le basi del nostro benessere e crea problemi di breve e di lungo periodo.
Se si considerano i rimedi possibili nel breve termine, appare ormai evidente che una semplice politica di sgravi fiscali non è sufficiente al rilancio, e forse neppure al sostegno, della domanda. I soldi non versati al fisco vengono in buona parte tenuti in banca e non spesi da cittadini e imprese timorosi del domani, oppure servono a comprare prodotti provenienti, in misura sempre maggiore, dall’estero. Convertiti in spesa pubblica, gli stessi soldi potrebbero avere, a certe condizioni, un effetto di stimolo maggiore, anche se probabilmente non risolutivo; occorre proseguire sulla strada di riforme già percorsa con successo da altri Paesi, senza scartare l'eventualità di un inasprimento fiscale, che si traduca in un aumento mirato di spese in settori in cui l'Italia ha accumulato debolezze. Se vogliamo trovare una soluzione, invece di sperare che essa ci piova dal Cielo, bisogna smettere di pensare secondo le linee tradizionali.
Se invece si guarda all’economia italiana in campo lungo, appare chiaro che l’Italia ha perduto la vocazione produttiva che si era data dal dopoguerra, è uscita da molti settori-chiave e si è indebolita in tutti. Su queste difficili premesse, occorre progettare il Paese del futuro, che sarà, in ogni caso, fortemente carente di giovani e sovraccarico di anziani, che dovrà pur continuare a guadagnarsi il pane nell’economia internazionale e che comunque non può pensare che tutto continui per forza d’inerzia.
Molti progetti sono possibili ma nessuno viene in realtà approfondito; né la maggioranza né l’opposizione hanno finora presentato un quadro di come si immaginano, di come vorrebbero che fosse l’economia di questo Paese di qui a vent'anni. Un simile vuoto programmatico è indizio di scarsa visione politica prima ancora che economica; quasi si esorcizzano questi problemi, forse per paura di affrontarli. Non la speranza che il trimestre prossimo sia migliore ma il coraggio di guardare senza troppi pregiudizi alle difficoltà correnti è il primo requisito per poterle superare.
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