Da Il Messaggero del 13/05/2005
Il momento di un impegno comune
di Enrico Cisnetto
DALLA stagnazione alla recessione. Con, in più, il fardello dei conti dello Stato che si fa sempre meno tollerabile. E' questa la pesante realtà della nostra economia, che dopo una lunga stagione (40 mesi) di crescita “quasi zero”, ora precipita inevitabilmente verso la recessione, determinata dalla caduta della produzione dei beni commerciali (a marzo -5,2%), che suggella un decennio di progressiva deindustrializzazione, e da una progressiva contrazione delle nostre esportazioni in rapporto alla forte crescita mondiale degli scambi. Con il primo trimestre del 2005 (calo di mezzo punto percentuale sui tre mesi precedenti e dello 0,2% sull'anno precedente) sono infatti sei mesi che il pil italiano ha il segno meno davanti, e dunque due trimestri consecutivi segnano quella che gli economisti chiamano “recessione tecnica”. Che non sarebbe niente di drammatico, anzi sarebbe fisiologico, se come di solito avviene (vedi gli Usa nei primi nove mesi del 2001) interrompesse un ciclo di congiuntura positiva, ma che essendo invece la coda di una stagnazione infinita, si configura come una sorta di paralisi progressiva che rischia di bloccare i movimenti del sistema-paese e di rendere irreversibilmente compromesse alcune sue funzioni vitali. Insomma, il famoso declino, con il quale finora ci siamo baloccati tra ciechi dinieghi e irresponsabili strumentalizzazioni, ma che, se si vuole salvare il Paese dal disastro, è venuto il momento di guardare in faccia con sano realismo.
In questi ultimi anni l'abbiamo spiegato fino alla noia: i problemi italiani sia sul fronte dell'economia reale sia su quello della finanza pubblica sono di natura strutturale e non congiunturale, e come tali vanno trattati. Cioè con rimedi i cui effetti positivi non possono che essere misurati su tempi medio-lunghi, evitando di sprecare le poche risorse a disposizione o, peggio, di forzare il deficit con interventi tampone, che nel migliore dei casi producono soltanto qualche momentaneo e illusorio effetto lenitivo. Come è stata la disastrosa, oltre che ondivaga, politica fiscale di questo governo. Ma come lo sono state le non meno miopi scelte del centro-sinistra nella scorsa legislatura.
Insomma, l'Italia è raffigurabile come una macchina che ha perso progressivamente velocità e la sua classe dirigente come un automobilista che, non essendosi accorto o non volendo vedere che quel rallentamento dipende dal fatto che si sono persi per strada pezzi fondamentali del motore, pretende di far ripartire l'auto semplicemente mettendo un po' di benzina (poca, peraltro). Il tutto raccontando ai passeggeri prima che la velocità è ben superiore a quella reale, poi che la frenata è momentanea, e adesso la “perla” è di Berlusconi, che ieri se l'è presa con le vacanze di Pasqua, facendosi prendere in giro persino da Calderoli che la colpa è di chi è sceso per “andare al mare” e non spinge.
Uscendo di metafora, siamo in emergenza. Lo siamo, drammaticamente, per la crisi industriale, che sconta un'inesistente politica economica. Ieri abbiamo saputo che, in controtendenza rispetto agli ultimi tempi, la Germania chiude il primo trimestre con un incoraggiante +1% (il doppio della media Ue): esso è frutto di una strategia paese che, partendo dal dire la verità ai tedeschi, è andata nella direzione di un rafforzamento dell'apparato produttivo in chiave esportativa pur pagando il prezzo di una caduta verticale dei consumi. Se noi avessimo scelto quella modalità “da formica” anziché quella dell'ottimismo “da cicala”, oggi saremmo in grado di affrontare con più efficacia e serenità il “fronte dell'Asia”, cioè la concorrenza spietata e non bloccabile dei prodotti dei paesi emergenti, morsa che nei prossimi mesi è destinata a strangolare il nostro già esangue capitalismo.
E siamo in emergenza per la situazione dei conti pubblici, se dobbiamo dar retta guai a non farlo alle parole del presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, che ieri in un'audizione parlamentare l'ha definita “molto preoccupante”, invocando uno stop ai tagli fiscali senza copertura e facendo presagire che occorrerà l'ennesima manovra correttiva.
Ma tutto è nelle mani della politica. E se neppure di fronte all'emergenza conclamata si creeranno le condizioni per uno sforzo comune, se si vuole altrettanto “emergenziale”, delle forze che compongono il puzzle impazzito del bipolarismo all'italiana, allora alla recessione e al declino dovremo farci il callo.
In questi ultimi anni l'abbiamo spiegato fino alla noia: i problemi italiani sia sul fronte dell'economia reale sia su quello della finanza pubblica sono di natura strutturale e non congiunturale, e come tali vanno trattati. Cioè con rimedi i cui effetti positivi non possono che essere misurati su tempi medio-lunghi, evitando di sprecare le poche risorse a disposizione o, peggio, di forzare il deficit con interventi tampone, che nel migliore dei casi producono soltanto qualche momentaneo e illusorio effetto lenitivo. Come è stata la disastrosa, oltre che ondivaga, politica fiscale di questo governo. Ma come lo sono state le non meno miopi scelte del centro-sinistra nella scorsa legislatura.
Insomma, l'Italia è raffigurabile come una macchina che ha perso progressivamente velocità e la sua classe dirigente come un automobilista che, non essendosi accorto o non volendo vedere che quel rallentamento dipende dal fatto che si sono persi per strada pezzi fondamentali del motore, pretende di far ripartire l'auto semplicemente mettendo un po' di benzina (poca, peraltro). Il tutto raccontando ai passeggeri prima che la velocità è ben superiore a quella reale, poi che la frenata è momentanea, e adesso la “perla” è di Berlusconi, che ieri se l'è presa con le vacanze di Pasqua, facendosi prendere in giro persino da Calderoli che la colpa è di chi è sceso per “andare al mare” e non spinge.
Uscendo di metafora, siamo in emergenza. Lo siamo, drammaticamente, per la crisi industriale, che sconta un'inesistente politica economica. Ieri abbiamo saputo che, in controtendenza rispetto agli ultimi tempi, la Germania chiude il primo trimestre con un incoraggiante +1% (il doppio della media Ue): esso è frutto di una strategia paese che, partendo dal dire la verità ai tedeschi, è andata nella direzione di un rafforzamento dell'apparato produttivo in chiave esportativa pur pagando il prezzo di una caduta verticale dei consumi. Se noi avessimo scelto quella modalità “da formica” anziché quella dell'ottimismo “da cicala”, oggi saremmo in grado di affrontare con più efficacia e serenità il “fronte dell'Asia”, cioè la concorrenza spietata e non bloccabile dei prodotti dei paesi emergenti, morsa che nei prossimi mesi è destinata a strangolare il nostro già esangue capitalismo.
E siamo in emergenza per la situazione dei conti pubblici, se dobbiamo dar retta guai a non farlo alle parole del presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, che ieri in un'audizione parlamentare l'ha definita “molto preoccupante”, invocando uno stop ai tagli fiscali senza copertura e facendo presagire che occorrerà l'ennesima manovra correttiva.
Ma tutto è nelle mani della politica. E se neppure di fronte all'emergenza conclamata si creeranno le condizioni per uno sforzo comune, se si vuole altrettanto “emergenziale”, delle forze che compongono il puzzle impazzito del bipolarismo all'italiana, allora alla recessione e al declino dovremo farci il callo.
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