Da Corriere della Sera del 15/04/2005

Davanti a ottanta studenti il capo dell’Eliseo si batte per il sì al referendum: «Ma comunque non mi dimetterò»

Chirac: un’Europa forte ci difenderà

Il presidente chiede ai francesi di salvare la Costituzione: «Per fronteggiare Usa e Cina»

di Massimo Nava

PARIGI - Come un consumato giocatore di poker, Jacques Chirac ha messo ieri sera sul piatto la sua straordinaria capacità di comunicazione, cercando di nascondere ai francesi, e forse a se stesso, le brutte carte che ha in mano. Un’eccezionale apparizione televisiva in diretta, in una platea di ottanta giovani riuniti nel salone d’onore dell’Eliseo, per convincere la Francia ad approvare il referendum sul trattato costituzionale del 29 maggio, quando i sondaggi danno per maggioritario il «no» e denunciano una paradossale frattura fra classe dirigente (quasi tutta schierata per il «sì») e società civile.

Un paradosso all’origine del quale c’è proprio il presidente, catalizzatore di un «no» all’Europa che sembra soprattutto un «no» - di stanchezza e di protesta - alla sua interminabile permanenza al potere. Chirac, che ha voluto il referendum, difende gli ideali europei anche per difendere se stesso, mentre il messaggio che i francesi sembrano inviargli è che il suo farsi da parte faciliterebbe la vittoria del «sì».

La battuta al vetriolo, in queste ore, viene dal presidente degli industriali Ernst-Antoine Seilliére: «Se Chirac annunciasse di non ripresentarsi alle presidenziali crescerebbe il «sì». Siccome ai giocatori di poker non difetta il coraggio, Chirac ha assunto i rischi di una sfida in cui lui si gioca tutto e la Francia moltissimo, cominciando dall’orgoglio e dall’immagine, in Europa e nel mondo, in caso di bocciatura di un testo largamente ispirato, voluto e negoziato dalla cultura politica francese.

Su questo punto, Chirac è stato esplicito: «È un referendum sull’Europa, non un plebiscito su una persona o sulla politica interna. Non mi pento di aver voluto il referendum, perché ritengo importante che tutti i francesi si esprimano su una cosa troppo importante come il futuro dell’Europa». È quindi esclusa, con un secco «no», ogni ipotesi di dimissioni.

I giovani che hanno interrogato Chirac, accuratamente preselezionati, esprimevano le più diverse tendenze. L’universo giovanile rispecchia quasi al millimetro gli umori del Paese: il «no» al 52 per cento, con una leggera prevalenza oltre i 25 anni, ai livelli d’istruzione più bassi, nei ceti professionali e in buona parte della sinistra. Di conseguenza, i francesi hanno assistito ad una messa in scena realistica, in cui non sono mancate le domande cattive e impertinenti e quelle condizionate da una lettura del referendum nella chiave della politica interna. Ai francesi che potrebbero votare con lo stomaco e che, come ha scritto il Nouvel Observateur , vorrebbero dire «merde», Chirac ha detto di votare con il cuore e con il cervello, usando gli argomenti più efficaci per la mentalità collettiva: l’orgoglio nazionale, cui sono legati i destini dell’Europa, e i pericoli di un mondo senza bussola, in cui il Vecchio Continente farebbe la parte del vaso di coccio, fra il gigante americano e il gigantismo cinese. «In caso di sconfitta del sì, la Francia cesserebbe di esistere politicamente, diventerebbe la pecora nera dell’Europa».

Ad Alexandra, Maxim, Philip che lo incalzavano, Chirac ha evocato come uno spettro la prospettiva di un’Europa «senza regole», «più debole», esposta alla mondializzazione senza controllo e al liberismo anglosassone: concetti che il presidente evoca in senso negativo, contrapposti all’Europa «umanistica che può imporre il suo umanesimo». Al giovane agricoltore, e a una categoria che vorrebbe votare no per timore di perdere sussidi comunitari, così come ai giovani preoccupati dello smantellamento dei servizi pubblici, Chirac ha lanciato messaggi rassicuranti e nello stesso tempo minacciosi in caso di vittoria del «no»: «Le competenze dello Stato non sono in discussione, come i nostri valori nazionali, come i vantaggi della politica agricola. Al contrario, quale sarà il potere negoziale della Francia se ci mettiamo fuori gioco?» Un giovane ha tentato di imbarazzare il presidente: «Lei è contro il liberismo nel mondo, ma il suo governo lo pratica in Francia». E Chirac: «Quello che rimproverano gli anglosassoni è che la Costituzione è troppo umanistica». In comune, i giovani francesi esprimevano paura, sentimento collettivo e predominante nel Paese: delle delocalizzazioni, della competitività, del precariato, dell’impoverimento, della Turchia, dell’Est, insomma degli «altri». Paure che Chirac ha sostanzialmente esorcizzato: «Senza la Costituzione non cambierà nulla o sarà peggio. In ogni caso, non ci sarà una prova d’appello». Quanto alla Turchia, «oggi i suoi valori sono incompatibili con i nostri», ha detto Chirac, pur essendo un sostenitore dell’adesione di Ankara.

I prossimi sondaggi diranno se i francesi avranno capito che l’Europa è più importante di uno schiaffo al governo e al presidente. In ogni caso, Chirac si è giocato un posto nella Storia. Per rimanerci, fra i padri dell’Europa, o per uscirne, come capitò al più illustre predecessore: Charles de Gaulle.

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