Da Corriere della Sera del 17/04/2005

Il referendum sulla Carta Ue

No della Francia Europa spaventata

di Sergio Romano

Il referendum francese sulla Costituzione europea è ormai una roulette: se vincono i sì l’Unione è salva, se vincono i no l’Europa è colpita a morte. Questa rappresentazione in «rosso e nero» appartiene al clima elettorale e dimostra quale importanza l’avvenimento abbia assunto per i membri dell’Ue. Siamo tutti interessati dall’esito del voto e tutti inclini a drammatizzare. Se la Costituzione ci piace o ci sembra il migliore dei testi possibili, descriveremo gli effetti del no con le tinte cupe della catastrofe. Se l’euro, il mercato unico e la rinuncia alla sovranità nazionale ci spaventano, avremo interesse a rappresentare un no della Francia come un evento fatale. Ma l’Europa non ha mai giocato il suo futuro alla roulette. Se i francesi approveranno la Costituzione troveremo lungo la strada altri ostacoli: in Gran Bretagna, in Polonia, nella Repubblica Ceca, forse in Svezia e Danimarca. E se diranno no, come appare oggi possibile, occorrerà mettersi al lavoro per uscire dalla crisi. È accaduto quando il Parlamento francese bocciò il trattato per la Comunità europea di difesa nel 1954 e ci costrinse ad abbandonare la prospettiva dell’unione politico-militare. È accaduto nelle infinite occasioni in cui dovemmo fermare l’orologio e aspettare che i contendenti, dopo essersi battuti sino all’ultima virgola, trovassero finalmente un terreno d’intesa.

Occorrerà partire da due constatazioni. In primo luogo le regole, se vincerà il no, resteranno quelle del Trattato di Nizza: un testo che consente a un piccolo gruppo di Paesi di bloccare con il loro veto qualsiasi decisione e di gettare l’Unione nella paralisi. In secondo luogo esiste nell’Ue una comunità dell’euro che non può, qualsiasi cosa dicano gli avversari della moneta unica, tornare indietro. Abbiamo una grande valuta internazionale, oggi richiesta dalle maggiori banche centrali per le loro riserve; e abbiamo, grazie al modo in cui è gestita, una bassa inflazione e modesti tassi d’interesse.

Queste premesse, naturalmente, non bastano. Per uscire dalla crisi salvando la parte migliore della Costituzione, occorrerà interpretare il no francese e rispondere alle preoccupazioni degli elettori. Non sarà facile. Il fronte antieuropeo è composto ovunque da forze diverse: nazionalisti, localisti, anticapitalisti, movimenti ostili alla globalizzazione e alla libera circolazione dei lavoratori. Ma tutti pescano voti in una parte della società che teme gli effetti dell’allargamento sulla propria condizione sociale e considera i nuovi soci (quelli d’oggi e di domani) un rischio piuttosto che un’occasione.

Di questi timori, anche se sintomo di mentalità conservatrice, occorrerà tener conto. Ma non potremo farlo se non riusciremo a restringere il club per creare un’Europa più omogenea, unita da esperienze politiche e tradizioni comuni. Se saremo venticinque e continueremo ad allargarci, le soluzioni condivise saranno impossibili. La Gran Bretagna, la Polonia e la Turchia, per non parlare dell’Ucraina (faccio qualche esempio a caso) non appartengono al nucleo omogeneo e rappresentano quindi, per la soluzione della crisi, un ostacolo insormontabile. I diplomatici e i giuristi avranno molto da fare. Dovranno salvare il condominio allargato (politica agricola comune, fondi per lo sviluppo regionale e altre norme del mercato unico), ma permettere al cuore dell’Europa di battere con i suoi ritmi e non con quelli di Londra o di Ankara. Dovranno creare le condizioni perché il nucleo centrale possa allargarsi col tempo a nuovi membri, ma liberarlo dall’obbligo di aspettare, per ogni passo avanti, l’ultima ruota del carro. E allora, forse, un no francese ci apparirebbe fra qualche anno il provvidenziale inizio di una fase nuova.

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