Da La Repubblica del 16/04/2005

Calipari, ultima trattativa sul dossier

Gli Usa: sui fatti poca distanza dagli italiani. Scontro sulle parole

La diplomazia americana è convinta che alla fine Palazzo Chigi benedirà i risultati dell´inchiesta
L´ambasciatore Sembler: è stata fatta una grande indagine, tra pochi giorni conosceremo i risultati

di Carlo Bonini

ROMA - Un week-end ancora, al massimo i primi giorni della prossima settimana. Poi, vi sia o meno la benedizione italiana, sul caso Calipari calerà (o si alzerà, dipende dai punti di vista) il sipario. Con il generale Peter Vanjel che, a Bagdad, rassegnerà formalmente le conclusioni ufficiali dell´inchiesta congiunta sui fatti della notte del 4 marzo in un rapporto che sarà "depurato" dalle informazioni ritenute coperte da segreto militare. Pentagono e Dipartimento di Stato offrono a Roma un ultimo giro di tavolo. Non per discutere della sostanza dei fatti, che il Comando americano ritiene definitivamente acquisiti e su cui - si osserva sul lato statunitense - «le distanze» sarebbero «assai meno pronunciate di quel che si fa intendere». Ma della loro formulazione. Il che, tuttavia, non è problema di semplice forma. Se non altro per quel che riguarda il passaggio chiave di questa vicenda, quello che illumina le responsabilità del Sismi per la mancata comunicazione con l´alleato americano.

Non è un caso che in questa ultima vigilia di negoziato sul testo del rapporto, l´ambasciatore americano a Roma, Mel Sembler, decida di spendersi pubblicamente. Lo aveva fatto l´ultima volta il 6 aprile scorso, a Perugia, quando, per la prima volta, il Pentagono aveva ufficiosamente indicato nella settimana che oggi si conclude il momento della disclosure dell´inchiesta. È tornato a farlo ieri, con dichiarazioni apparentemente di routine, in realtà attente nel fissare una cornice che Washington non intende mettere o rimettere in discussione. «In questa inchiesta - ha detto Sembler - sono state ascoltate moltissime persone. Gli investigatori sono tornati sul luogo dell´incidente. È stata fatta una grande indagine. Entro pochi giorni, conosceremo i fatti». Il senso del messaggio è chiaro. Pentagono e Dipartimento ritengono di aver assolto l´impegno che Bush aveva assunto con Berlusconi. Difendono il metodo e la completezza dell´indagine, anticipano e spengono le obiezioni di chi oggi dubita dell´accuratezza del lavoro svolto a Bagdad. E ancora: l´ambasciatore fa sapere, a dispetto della laconicità che ancora ieri accompagnava le dichiarazioni del portavoce del Dipartimento di Stato Tom Casey («Non c´è una scadenza per l´indagine») - che il tempo è esaurito: «pochi giorni». E lo fa con un segno di ostentato ottimismo. Che riflette la convinzione della diplomazia americana che Palazzo Chigi, alla fine, deciderà di benedire politicamente i lavori della commissione congiunta.

A Washington sanno che la questione da dirimere non è la velocità della Toyota Corolla su cui viaggiavano Giuliana Sgrena, Nicola Calipari e un altro ufficiale del Sismi. Il Pentagono non avrebbe infatti nessuna difficoltà a concludere salomonicamente che, data l´impossibilità di fissare oggettivamente la circostanza, la velocità con cui procedeva la macchina resta un dato su cui esistono due versioni diverse affidate alla percezione soggettiva dei protagonisti di quella sera: i soldati della pattuglia che ha fatto fuoco e chi era nell´auto. A Washington sanno che le questioni dirimenti e di difficile compromesso si chiamano «capitolo Sismi» e «capitolo pattuglia».

Sulla prima circostanza, il Pentagono è consapevole che la circostanza della mancata comunicazione della nostra intelligence con la catena di comando alleata rischia di trasformare Nicola Calipari da vittima in colpevole di quella notte. È disposto a «trovare le parole» per non rendere «brutale» il passaggio del rapporto, ma certo non intende sacrificare il capitano Green, l´uomo destinatario delle lacunose comunicazioni italiane nei minuti immediatamente precedenti e successivi all´incidente. Subito trasformato dalle ricostruzioni della nostra intelligence in una sorta di snodo chiave della catena di comando americana ma, nei fatti, poco più di un passacarte all´aeroporto di Bagdad. Maltrattare Green nel rapporto significherebbe per il Comando americano a Bagdad accendere la rabbia dell´intera truppa, dei suoi quadri comando. Di cui, del resto, si è avuto un assaggio proprio nella fuga di notizie alla Nbc.

Spaventati da possibili «pasticci» con le parole, le fonti militari americane a Bagdad hanno preferito far sapere per tempo come sono andate le cose. Chi - a loro modo di vedere e per quel che i fatti accertati raccontano - porta la responsabilità di che cosa. Non Green. Non la pattuglia che ha aperto il fuoco, il secondo dei «capitoli» di difficile compromesso.

Di quei soldati, si conosce il reparto di appartenenza, il 69esimo reggimento fanteria New York, l´unità che nei giorni del settembre 2001 montava la guardia alla voragine fumante delle Torri Gemelle. Il rapporto non darà altre indicazioni sulla loro identità. Non fornirà alcuna indicazione che consenta di ricostruirla. Né, a indagine conclusa, la Procura di Roma avrà i loro nomi per un´inchiesta che l´America fatica a comprendere.

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