Da Corriere della Sera del 08/04/2005

Khatami: «Ora l’America deve capirci»

Il presidente iraniano: «Nessuno ha potuto dimostrare che vogliamo usare il nucleare a fini militari»

di Paolo Conti

ROMA - Presidente Mohammad Khatami, lei è in Italia per i funerali del Papa. Che ricordo ha di Giovanni Paolo II?
«Nel 1999 incontrai il Papa con grande entusiasmo. Mi avevano detto che per via della sua salute le udienze non duravano più di un quarto d’ora. Il nostro durò un’ora e trenta minuti. Rammento l’interesse con cui seguiva le mie parole e la vivacità con cui esponeva i suoi punti di vista. È stato l’uomo della spiritualità, dell’etica, della giustizia. Sostenne la mia idea del dialogo tra le civiltà perché lui stesso credeva nel confronto pacifico tra le grandi religioni e di una conoscenza più profonda tra Islam e cristianesimo. Mi auguro che la sua strada venga seguita anche nel futuro».

Lei oggi vedrà sia il presidente Bush che due ex presidenti Usa, Bush padre e Clinton. Potrà essere un’occasione diplomatica per un primo approccio tra Iran e America?
«Per me ha molta importanza rendere un pieno omaggio a Giovanni Paolo II. La presenza di personalità mondiali di prima grandezza dimostra il rispetto del mondo. Magari questa giornata potrebbe essere un momento che può farci sperare in un futuro di pace, non di scontro e di inimicizia».

Ci saranno incontri? Pensa che almeno vi saluterete...
«Non ci sarà alcun incontro. Poi, uno vede tutti...»

Il 29 aprile si svolgerà la riunione finale dell’Iran con l’Agenzia atomica dell’Onu, l’Aiea, sul nodo della produzione nucleare iraniana. Lei si dice ottimista. Perché?
«Per natura non sono pessimista ma paziente. Abbiamo accolto molto favorevolmente la proposta europea di aprire il dialogo con noi. I progressi sono stati lenti ma non deludenti. L’ultimo consiglio del novembre 2004 ha visto gli Usa isolati. Le tante ispezioni dell’Aiea in Iran non hanno mai rilevato violazioni, non hanno potuto dimostrare possibili usi militari. Perché non ci sono! Se noi iraniani e voi europei saremo fedeli agli accordi del novembre 2004, soprattutto se gli europei non subiranno le pressioni degli Stati Uniti, possiamo davvero essere ottimisti».

Israele è invece allarmato. Accusa duramente l’Iran di prepararsi a diventare una pericolosissima potenza nucleare.
«L’intera regione si sente minacciata da Israele che ha l’arsenale nucleare più grande dell’area e il maggiore dopo le cinque potenze atomiche mondiali. Da un punto di vista morale e legale non ha diritto di protestare».

Israele e Usa mostrano documenti, immagini satellitari che proverebbero il contrario.
«Le ispezioni non hanno trovato nulla. Ribadisco con chiarezza: non vogliamo produrre arsenali nucleari. Se con l’Europa costruiremo il clima di fiducia necessaria, la questione si risolverà e magari compiremo il primo passo verso la denuclearizzazione della regione. È la mia proposta, avanzata più volte in tante sedi internazionali. Se fosse accolta potrebbe portare alla denuclearizzazione del pianeta e alla fine di un autentico incubo per l’umanità intera».

Dopo la visita di Bush in Europa si è parlato di un ammorbidimento degli Stati Uniti verso l’Iran, di un’accettazione della linea europea di dialogo. Vede cambiamenti?
«Sì, vedo cambiamenti... qualcuno ce n’è stato. In passato però il loro comportamento ha provocato una mancanza di fiducia. Siamo prudenti. Se ci sarà un mutamento strategico, se gli Usa capiranno cosa stiamo dicendo, si potrà essere felici prima di tutto per loro e poi per la regione e il mondo. Purtroppo gli attuali governanti americani, più dei loro predecessori, ricorrono alla violenza, ai mezzi militari e all’imposizione della propria volontà. Credono in un principio assolutamente pericoloso che genera a sua volta terrorismo: l’attacco preventivo che consente con un puro pretesto di dare il via a un intervento militare. In Iraq ci fu la scusa delle armi di distruzione di massa: mai trovate. Anche noi eravamo notoriamente favorevoli alla caduta di Saddam Hussein, pensavamo che il suo rovesciamento sarebbe stato un beneficio per la regione e per il mondo. Ma volevamo una soluzione condivisa internazionalmente».

Bush ha recentemente detto: per l’Iran ora siamo per l’opzione diplomatica, ma in quanto all’intervento militare non si deve mai dire mai. Crede possibile uno scenario come questo?
«Non cerchiamo assolutamente conflitti con gli Stati Uniti. Ci stiamo sforzando per non offrire alcun tipo di pretesto. Ma ci stiamo preparando dal punto di vista politico, militare, economico, dell’opinione pubblica: se mai dovesse accadere qualcosa del genere sapremo come difenderci. L’Iran non è l’Iraq né l’Afghanistan. Qualsiasi aggressione potrà causarci danni. Ma il più danneggiato alla fine sarà l’aggressore. Visto cos’è accaduto in Iraq, mi sembra difficile che gli Usa siano così privi di saggezza da mettersi in una situazione ancora più complicata».

L’amministrazione americana ci accusa di sostenere e finanziare il terrorismo mediorientale.
«L’America fa molte affermazioni senza fondamento. Posso dire solo questo. Il numero di iraniani, normali civili o personalità, vittime di un terrorismo cieco spesso finanziato dall’esterno, è maggiore di quello registrato della tragedia dell’11 settembre che ha colpito tutti noi. E chi è stato vittima del terrorismo non può certo appoggiarne altro. L’unica nostra colpa è sostenere che la difesa del territorio, della libertà, della dignità appartiene a tutti. Se questa affermazione contrasta con ben precisi interessi, allora diventa sostegno al terrorismo».

Ma l’accusa è precisa: l’Iran appoggerebbe senza scrupoli il terrorismo in Libano. Cosa risponde?
«Non c’è ingerenza di alcun tipo. Insisto: un sostegno morale e spirituale non può essere considerato ingerenza. Tantomeno può diventare un appoggio militare».

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