Da Il Messaggero del 07/04/2005

«In queste masse globali c’è il respiro del Medioevo»

di Marco Guidi

FOLLE immense che sfilano dopo ore e ore di attesa davanti al corpo del papa. Masse che con ogni mezzo si mettono in marcia verso un unico obiettivo: Roma. C’è qualcosa di nuovo e di antico in tutto questo, la mente corre automaticamente ai grandi pellegrinaggi del Medioevo, alle folle che percorrevano le strade insicure d’Europa verso un grande santuario o per celebrare il Giubileo sulla tomba di San Pietro. È un aspetto che mette in moto quella memoria collettiva che appartiene a tutti. Ne parliamo con Franco Cardini, storico del Medioevo, ma anche acuto analista del presente.

Professor Cardini, le immagini delle folle attorno a San Pietro fanno venire in mente la descrizione che fa Dante Alighieri del primo Giubileo, quello del 1300, voluto da papa Bonifacio VIII, quando, è il Poeta che lo ricorda, fu istituita una sorta di senso unico sul Ponte Sant’Angelo tanta era la folla...
«Sì in un certo senso i due episodi possono assimilarsi. Certo, nel 1300 il Giubileo con le sue folle fu una novità assoluta. Per noi invece è diverso, siamo di fronte a una cosa più abituale. Le grandi manifestazioni di massa che io ricordo sono quelle del funerale dell’ayatollah Khomeini con milioni di partecipanti o quello di Juan Domingo Peron, con la gente che passò tre giorni sotto la pioggia. Ma torniamo al Medioevo, al Giubileo del 1300 e a papa Giovanni Paolo II. Il teatro è lo stesso, con le code in Borgo. Quel Borgo che aveva visto la devastazione dei saraceni nel IX secolo e la fuga di papa Clemente VII assieme a Benvenuto Cellini nel 1527 al tempo del Sacco di Roma. Ma non è solo per questo che il riferimento al Giubileo è calzante. Intanto ricordiamo che questo è stato il papa che ha celebrato il Giubileo più significativo dopo il primo del 1300, cioè quello del passaggio dal XX al XXI secolo. E poi ci sono queste due figure di papi: Bonifacio e Giovanni Paolo. Il primo finì come uno sconfitto. E riguardo al secondo, anche se concordo in parte con la tesi di Marcello Veneziani che ne fa uno sconfitto dalla globalizzazione, dall’edonismo generalizzato, dal laicismo vedo anche le grandi differenze. Bonifacio, come spiritualità, lasciava parecchio a desiderare, questo pontefice invece è stato un esempio di alta spiritualità. Certo, entrambi sono stati due tra i papi maggiormente politici di tutti i tempi».

E poi di medievale forse c’è questo appellativo di Grande che è stato dato a Karol Wojtyla.
«Il cardinal Sodano è persona molto fine e un’affermazione simile sottintende due operazioni che lo sono altrettanto. La prima è quella che riguarda i papi che sono stati chiamati grandi, Leone, Gregorio... I grandi papi sono quelli che hanno evangelizzato i popoli: Leone i Germani e gli Unni e Gregorio gli Angli. Bene, Giovanni Paolo II è il rievangelizzatore del mondo moderno. Poi c’è la seconda operazione: tutti i papi detti grandi sono divenuti santi. Non è una boutade gettata là così, anzi è una frase meditata e intenzionale. Detta poi da Sodano, uomo che fu vicino e condivise le azioni del papa, è un’affermazione che sottintende molte cose. Vede, non è che poi tutta la Chiesa fosse schierata con questo pontefice, c’erano, ci sono, altre linee, altre tendenze. E poi bisogna ricordare che fino ad oggi i papi grandi furono papi di un’epoca molto antica. Poi tutto cambiò, e stavolta con questo appellativo non solo retorico si segnala che qualcos’altro è cambiato».

Ma quale grande papa del passato somiglia di più a Giovanni Paolo II?
«Lui mi ricorda Innocenzo III, soprattutto per la capacità di vedere lontano. Innocenzo aveva come mondo di riferimento il Mediterraneo, questo aveva il mondo intero. Ma si assomigliano anche perché entrambi affrontarono una serie di problemi, anche teologici, di assoluta rilevanza. E poi, a pensarci bene, di papi importanti a livello globale, dopo il Medioevo non ce ne sono stati più. Certo, Pio II fu un grande umanista, Giulio II un protettore delle arti, ma se si pensa al Quattro-Cinquecento non vengono in mente loro come figure principali. Invece ecco di nuovo un pontefice al centro delle cose. Se uno storico del futuro si occuperà dei grandi personaggi della fine del XX secolo forse metterà in primo piano Giovanni Paolo piuttosto che George Bush. Dopo quelli del Medioevo bisogna pensare a questo come uomo di levatura internazionale. Lui non è stato né reazionario né progressista, lui è stato lui mentre il mondo attorno cambiava. Divenne papa quando ancora esisteva l’Urss e il comunismo era il grande avversario. Poi, caduta l’Urss e caduto il comunismo, eccolo rendersi conto che il capitalismo selvaggio aveva aspetti disumani, così come quelli di certo libero mercato. Si può dire che il papa è cambiato? No è cambiato il mondo e di conseguenza è cambiato il suo atteggiamento, non il suo pensiero».

Torniamo a queste masse in movimento, non le paiono un poco rievocare quelle delle crociate, la crociata dei pezzenti per esempio?
«Sì, un poco sì. Anche grazie alla figura di questo papa che è riuscito a diventare grazie al suo carisma insieme cittadino del mondo, capace di farsi voler bene in Africa, in America Latina, a fare bene il vescovo di Roma e nello stesso tempo a rimanere così tenacemente polacco».

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