Da La Stampa del 06/04/2005
Il futuro passa dal Sud
di Lucia Annunziata
Nel 2001 il centrosinistra, allora al governo, capì che aveva perso le elezioni quando i dati dissero che il Sud era stato perso. Due notti fa, il centrodestra ha realizzato l’entità della sua sconfitta di fronte alla perdita di Lazio e Puglia. In questo ripetersi di eventi è racchiuso uno dei più singolari teoremi della vita nazionale: in Italia governa chi ha il Nord, ma ha capacità di persuadere il Sud.
Nonostante il Nord rimanga il motore economico del Paese, la sede delle sperimentazioni di formule e modelli è infatti il Sud che dispensa o meno il consenso finale alle politiche nazionali. E questa volta ha avvertito più di tutte le altre zone del Paese il bloccarsi della macchina economica, privo com’è, il Meridione, di cuscinetti di grasso, di una forte rete di iniziativa privata alternativa allo Stato.
Le scelte liberiste (?) hanno avuto qui il volto di disastri ambientali; politiche anche rilevanti, come il federalismo, sono apparse politiche di egoismo sociale, e la riforma del mercato del lavoro, pur necessaria agli occhi delle istituzioni economiche nazionali, è qui parsa solo la legittimazione di una flessibilità che da sempre si chiama precarietà.
Persino la ripresa del mondo cattolico che nel Nord ha suscitato negli ultimi anni una fervente ripresa religiosa, priva com’è al Sud di quel coniugarsi con la libertà di impresa e la solidarietà economica, è sembrata solo la riproposizione di un vecchio volto autoritario della religione.
Ma soprattutto quello che si è logorato nel Meridione è il sogno proposto dalla Casa delle Libertà: l’arrivo della televisione commerciale anni fa rappresentò per il Sud una importante scossa culturale, l'aprirsi di una porta su un mondo più felice, più semplice, e oltretutto gratuito. Su questa onda, la politica di Berlusconi, pure nata al Nord e radicata nell’efficienza aziendale, aveva trovato poi la sua affermazione nazionale in questo bisogno del Meridione di trovare un orizzonte più moderno e più ampio. Oggi invece nel Sud sembra intaccata di nuovo l’idea stessa di sviluppo.
Relegare così il drastico calo di consensi meridionali a problemi amministrativi farebbe un torto a governatori come Fitto e Storace. Lo scossone che ha fatto cadere due macchine oleate e poderose come quelle che loro (fra gli altri) avevano messo in piedi non è una sconfitta personale, ma il risultato di un cambiamento di ampio significato, di cui il Sud torna a indicare la direzione.
Nonostante il Nord rimanga il motore economico del Paese, la sede delle sperimentazioni di formule e modelli è infatti il Sud che dispensa o meno il consenso finale alle politiche nazionali. E questa volta ha avvertito più di tutte le altre zone del Paese il bloccarsi della macchina economica, privo com’è, il Meridione, di cuscinetti di grasso, di una forte rete di iniziativa privata alternativa allo Stato.
Le scelte liberiste (?) hanno avuto qui il volto di disastri ambientali; politiche anche rilevanti, come il federalismo, sono apparse politiche di egoismo sociale, e la riforma del mercato del lavoro, pur necessaria agli occhi delle istituzioni economiche nazionali, è qui parsa solo la legittimazione di una flessibilità che da sempre si chiama precarietà.
Persino la ripresa del mondo cattolico che nel Nord ha suscitato negli ultimi anni una fervente ripresa religiosa, priva com’è al Sud di quel coniugarsi con la libertà di impresa e la solidarietà economica, è sembrata solo la riproposizione di un vecchio volto autoritario della religione.
Ma soprattutto quello che si è logorato nel Meridione è il sogno proposto dalla Casa delle Libertà: l’arrivo della televisione commerciale anni fa rappresentò per il Sud una importante scossa culturale, l'aprirsi di una porta su un mondo più felice, più semplice, e oltretutto gratuito. Su questa onda, la politica di Berlusconi, pure nata al Nord e radicata nell’efficienza aziendale, aveva trovato poi la sua affermazione nazionale in questo bisogno del Meridione di trovare un orizzonte più moderno e più ampio. Oggi invece nel Sud sembra intaccata di nuovo l’idea stessa di sviluppo.
Relegare così il drastico calo di consensi meridionali a problemi amministrativi farebbe un torto a governatori come Fitto e Storace. Lo scossone che ha fatto cadere due macchine oleate e poderose come quelle che loro (fra gli altri) avevano messo in piedi non è una sconfitta personale, ma il risultato di un cambiamento di ampio significato, di cui il Sud torna a indicare la direzione.
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