Da Corriere della Sera del 05/04/2005

Gay e comunista, vince in Puglia su Fitto. L’ex leader Ds: a lui meno voti dei partiti La sorpresa

di Gian Antonio Stella

«Nichi Vendola? Credo che il centrodestra ne verrà avvantaggiato. E molto». Chissà se ieri, vedendo in Puglia quel candidato «impossibile», bruttino, gay e comunista, che si avviava a battere il candidato «perfetto» Raffaele Fitto, bello, giovane e azzurro, Enrico La Loggia si è morso la lingua ripensando all’oroscopo nel quale si era avventurato dopo le primarie nel centrosinistra che avevano visto scartare il moderato Francesco Boccia in favore del rifondarolo con l’orecchino. A meno che, s’intende, non abbia trovato nei dati che man mano arrivavano la conferma a un dubbio che a un certo punto pareva turbare sul fronte opposto Massimo D’Alema. Se avesse avuto di fronte un avversario diverso e meno «alternativo» il centrodestra sarebbe stato travolto ancora più disastrosamente? Eccolo, il tema che di rimbalzo da Bari potrebbe arroventare nei prossimi giorni il dibattito nel centrosinistra a Roma. Perché nulla, si sa, può essere meno esatto e scientifico dei numeri. Ed è vero: di tutte le regioni gestite un tempo dal centrodestra, quella dove la Casa delle Libertà pareva ieri aver tenuto meglio rispetto alle regionali del 2000, stando ai dati non ancora definitivi della tarda sera, sembrava la Puglia. E come non bastasse, pareva che Vendola fosse rimasto qua e là sotto le percentuali della coalizione. Tanto da spingere D'Alema, forse con un pizzico di malizia, a dire non solo che dopo questa vittoria il clima per far le primarie è molto cambiato ma che «purtroppo c'è stata una certa quota di voto disgiunto»: «Ci sono alcuni elettori del centrosinistra che han votato per Fitto». «Ma non è vero: pare che io ne abbia presi di più!», esultava a tarda sera il candidato «rosso rosso», nel caos di baci e abbracci che lo aveva travolto all'arrivo nel suo piccolo e dimesso comitato elettorale.

Si vedrà meglio oggi. A conta finita. Ma potete scommettere che Fausto Bertinotti risponderà comunque che non solo l'opposizione ha recuperato sei punti sulle regionali del 2000, sette sulle politiche del 2001 e sei sulle Europee dell'anno scorso ma che il «suo» candidato è riuscito a mobilitare l'opposizione come non accadeva da un sacco di tempo, a rompere un mucchio di tabù e a dimostrare che la sinistra, se ci crede davvero, può tentare l'impossibile. Anche l'impresa di portare un gay neo-comunista a giocarsi la presidenza di una regione dell'Italia meridionale dove accanto alle nuove aree industriali si registrano ancora sacche di religiosità medievale quale l'annuale rito delle tarantolate a Galatina. Un'impresa che, per usare una vecchia metafora del subcomandante Fausto, vale «il sogno di un apache alla Casa Bianca».

Che Vendola abbia infranto una serie di tabù storici è fuori discussione. Figlioccio spirituale del vescovo don Tonino Bello, omosessuale dichiarato da quando era poco più che adolescente e fare outing a Terlizzi costava «fatica, sangue, dolore, offese, emarginazione, violenza», laureato in Lettere con una tesi su Pasolini, appassionato di poesia e autore di una raccolta ( L'ultimo Mare ) recensita con toni entusiastici dal Secolo d'Italia , catto-comunista integrale quindi additato ai moderati come il nemico numero uno nella scala berlusconiana degli avversari, «Nichi» aveva tutte le caratteristiche giuste per essere spazzato via in una competizione elettorale contro uno come Raffaele Fitto.

L'altro è figlio di Totò Fitto e cioè di quello che fu non solo il presidente regionale ma il patriarca della Dc pugliese e lui, per dirla con Bertinotti, è «figlio di un Dio minore». L'altro è un giovane pettinato a modo come pettinati sono i suoi pensieri e lui ostenta un «taglio anarchico, alla Majakovskij, per evitare l'autorità del pettine». L'altro veste fin da quando era bambino inappuntabili abiti ministeriali e lui va in giro agghindato, come ha scritto l'Espresso , «tutto nero e grigio, come un boss della mafia giapponese» anche come vice-presidente all'Antimafia mostrò di avere nervi saldi e fegato dando battaglia frontalmente alle organizzazioni criminali. L'altro pare fatto apposta per piacere a tutte le mamme e lui la sua ha dovuto riconquistarla dopo averla fatta soffrire con quella opzione gay che un tempo ti marchiava. L'altro è cresciuto nel solco moroteo del «molto è stato fatto, molto resta da fare» e lui è sempre stato un Masaniello, sia pure, come ha scritto Francesco Merlo, un «Masaniello delicato» che non strilla e non si sbraccia in cui «perfino l'omosessualità è tranquillizzante» e il comunismo non evoca l'immagine di Stalin e Pol Pot ma piuttosto un richiamo a Giuseppe Di Vittorio, un pugliese che piaceva anche al cervello della nuova destra Pinuccio Tatarella.

E tanto pareva un candidato anomalo, bizzarro, impossibile, la sera in cui vinse le primarie, che il Financial Times scrisse che quella vittoria «d'un cattolico gay, comunista radicale» era «un dono per la propaganda del centrodestra». E il finiano Adolfo Urso ironizzò che la sinistra si era «fatta male da sola» e Roberto Calderoli profetizzò che quella era «la sconfitta di Prodi e la fine dell'Ulivo» e Fabrizio Cicchitto rincarò che si trattava della «disfatta nazionale di Fassino, di Rutelli e della Margherita». E solo Raffaele Fitto, che sapeva quanto le cose fossero più complesse e quanto l'avversario fosse radicato nella sua Puglia, se ne restò alla larga dalle facili battute. Allora. Finché l'altro giorno, «avendo capito che aria tirava - accusa Nichi - non ha distribuito o fatto distribuire o comunque permesso che fossero distribuiti 250 mila manifesti che quasi quasi mi accusavano di essere un pedofilo. Fango, fango, fango». Non è servito.

E chi se lo poteva immaginare che un apache ...

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