Da La Repubblica del 17/03/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/politica/regionalics/commentos...

Sondaggio Demos-Eurisko. Basso interesse per le Regionali. Cresce la fiducia anche nel governo

Centrosinistra ancora in vantaggio

di Ilvo Diamanti

MANCA poco alle elezioni regionali, e la campagna elettorale si muove faticosamente. Pochi, fra gli elettori, sembrano seguirla con qualche interesse. Meno di uno su cinque, secondo l'indagine condotta dall'Atlante politico di Demos-Eurisko. Peraltro, in questa occasione pare più difficile decifrare il significato del prossimo voto. Non è chiaro, soprattutto, in che misura la scelta degli elettori sarà condizionata da valutazioni locali e quanto, invece, da considerazioni nazionali. Molto dipenderà sicuramente dall'agenda delineata dai leader e dalle forze politiche, nazionali e regionali, nel corso della campagna elettorale. Dai temi che si imporranno all'attenzione degli elettori.

E', però, difficile che si riproponga la situazione di cinque anni fa. Quando, lo ricordiamo ancora, in contrasto con l'enfasi politica e mediatica sull'elezione diretta dei presidenti e, quindi, sulle regioni - i laender del federalismo all'italiana-, la scelta degli elettori venne condizionata da motivazioni "nazionali".

D'Alema, allora premier, aveva, d'altronde, sfidato esplicitamente Berlusconi, in quel tempo leader dell'opposizione. Cercando di ricavare dalle elezioni regionali quella legittimazione popolare che a lui, subentrato a Prodi fra molte polemiche, mancava. Con un esito deleterio. Perché, il centrosinistra perse nella maggioranza delle regioni e D'Alema, coerentemente, si dimise.

E', peraltro, probabile che politicizzare il significato delle consultazioni regionali abbia danneggiato, allora, i candidati regionali del centrosinistra. Coinvolti in un referendum pro o contro il governo; pro o contro D'Alema. In tempi nei quali cresceva, nel paese, l'insoddisfazione e la domanda di cambiare, dopo tanti anni di sacrifici, per risanare i conti ed entrare in Europa.

Una lezione che Berlusconi pare aver ben assimilato. Insiste, per questo, a delimitare la posta in palio di queste elezioni. Alleggerendone il significato politico nazionale. Tanto che, in questa fase, preferisce restare defilato. Concentrarsi sulle questioni di politica interna ed estera. Senza rinunziare, comunque, a fissare lui i termini dell'eventuale confronto "nazionale": contando i voti nell'insieme, non il numero delle regioni conquistate.

Al contrario di Prodi, che cerca, invece, di politicizzare la competizione. Di trasformare le regionali in un test per misurare il peso delle due coalizioni nel paese. In base al conteggio dei governatori eletti, non delle percentuali di elettori ottenute. Hanno, i due leader, interessi e problemi contrapposti. Berlusconi, non ha intenzione (né ha bisogno, oggi) di riaprire la questione della leadership, nel centrodestra, risolta fra molti conflitti, dopo le elezioni europee.

Peraltro, nazionalizzare il confronto rischia di scaricare a livello regionale l'insoddisfazione economica dei cittadini, che resta elevata (come mostra l'Atlante politico). Oltre a contrastare il traino personale espresso dai governatori del centrodestra, che si ri-presentano agli elettori, in questa consultazione. E possono, quindi, fruire del consenso loro offerto dall'esperienza precedente.

Ancora: conviene a Berlusconi, porre l'accento sul numero degli elettori, piuttosto che di regioni, come metro di misura, per il giudizio finale. Perché il centrodestra mira soprattutto a riconquistare le principali regioni che già governa, la cui rilevanza - demografica, oltre che politica - è sicuramente importante: Lombardia, Piemonte, Veneto, Lazio e Puglia.

Le preoccupazioni di Prodi sono simmetricamente inverse. Le regionali, per lui, funzionano quasi da primarie. E, comunque, costituiscono un passaggio determinante per imporsi definitivamente all'Unione, sulla via delle prossime elezioni legislative. Le polemiche, che egli ha sollevato, in modo assiduo, in queste ultime settimane, non hanno come unico bersaglio il governo. Non mirano solo a imporsi come "premier alternativo". Servono, inoltre, a sottolineare la sua leadership personale e a enfatizzare il ruolo dell'Unione, a livello nazionale, in una fase in cui tendono a prevalere i partiti e i gruppi dirigenti locali. Prodi, in altri termini, ha bisogno di esporsi, sfruttando lo spazio offerto dalla campagna elettorale. Mentre Berlusconi ha interesse a defilarsi.

D'altra parte, gli orientamenti degli elettori suggeriscono un clima di attesa. I rapporti di forza fra le coalizioni restano sostanzialmente gli stessi, rispetto a un mese fa. L'Unione continua a prevalere, con un margine lievemente ridotto, nel voto proporzionale. Mentre allarga il suo vantaggio nel maggioritario. A conferma della maggiore capacità competitiva che esprime, quando si presenta unito. O della maggiore difficoltà che incontrano i partiti di centrodestra a coalizzarsi.

Il centrosinistra, inoltre, supera nuovamente la CdL, dopo una fase di declino, nelle previsioni di vittoria. Mentre cresce la fiducia, sia nel governo che nell'opposizione. Sulla spinta del clima di emozione e di solidarietà suscitato dalla drammatica liberazione di Giuliana Sgrena, costata la vita a Nicola Calipari. Insomma, da un anno, ormai, l'equilibrio tra i due schieramenti sembra essersi stabilizzato. Anche se resta molto precario. L'esito delle prossime elezioni regionali potrebbe modificarlo sensibilmente.

Per questo i leader delle due coalizioni affrontano questa campagna con eguale impegno, ma con opposto atteggiamento. Dopo tre anni di sconfitte subite, alle elezioni amministrative e regionali, Berlusconi preferisce la cautela. La penombra (tanto da apparire opaco e perfino noioso, nelle performance televisive, come a Porta a Porta, due sere fa).

Mentre Prodi vede nelle regionali il punto di svolta, un fondamentale fattore propulsivo nella corsa alle elezioni politiche. Per la coalizione e per se stesso. D'altronde, fra gli elettori di centrosinistra egli gode di indici di fiducia elevati, ma non troppo diversi dagli altri leader. Fassino lo affianca, Rutelli e Bertinotti lo avvicinano. Certo, nella CdL la posizione di Berlusconi non pare molto diversa. Sopravanzato, anch'egli, da Gianfranco Fini. Ma se non è più il monarca assoluto, resta il proprietario della Casa delle Libertà.

Tuttavia, riprodurre il gioco del 2000 non sarà facile. Questa volta, infatti, è lecito attendersi che i fattori territoriali contino di più, sulla scelta degli elettori.
1. Perché è la seconda volta che si eleggono i presidenti di regione con voto diretto. Ed è la terza in cui, comunque, le coalizioni vengono associate a un candidato-presidente esplicitamente indicato sulla scheda. Non è un caso che, come emerge dall'Atlante politico, circa metà dei cittadini mostrino di conoscere il loro presidente regionale (il 60% in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sardegna).
2. Perché i poteri delle Regioni, anche se attraverso un contrastato processo legislativo, sono cresciuti, nel corso degli ultimi dieci anni. Su temi critici ed essenziali, per i cittadini: dalla sanità alla formazione ai servizi sociali al territorio.

Tanto che il 75% degli italiani considera molto importante il ruolo acquisito dalle Regioni, rispetto ai temi che regolano la loro vita e la loro realtà sociale.
Per questo riteniamo che, molto più di cinque anni fa, la scelta degli elettori rifletterà il giudizio sul governo della regione; sulla qualità della vita, sul grado di benessere e di sicurezza della realtà in cui essi vivono.

E, inoltre, sulla personalità (e sulla visibilità) del candidato. È tuttavia inevitabile che i risultati vengano successivamente letti in chiave politica nazionale e abbiano effetti rilevanti sulla lunga campagna elettorale, che si concluderà fra un anno, con il voto politico. Di cui le prossime elezioni regionali costituiscono il primo turno.

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