Da Corriere della Sera del 01/02/2005

Bush si appella ai leader «Ora serve il vostro aiuto»

La Casa Bianca riceve le congratulazioni di Chirac «La minoranza sunnita non sia esclusa dal governo»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - È il presidente francese Jacques Chirac a prendere l’iniziativa. Il giorno dopo il voto iracheno, telefona a George W. Bush per complimentarsi con lui e manifestargli la propria «soddisfazione». Il colloquio dura 15 minuti ed è estremamente cordiale. Chirac definisce le elezioni «una tappa importante della ricostruzione politica dell’Iraq» e «un parziale fallimento della strategia del terrore», e si dice «pronto a collaborare all’addestramento delle forze e dei dirigenti iracheni». Bush lo ringrazia, ma gli ricorda che «rimane molto da fare». Più tardi il suo portavoce Scott McClellan precisa quale sia ora il compito dell’America e degli alleati, ammettendo che le elezioni non hanno risolto tutti i problemi: «Mettere in grado l’Iraq di provvedere da solo alla propria sicurezza». A questo fine, aggiunge, le forze americane dovranno restare sul posto «e preparare ed equipaggiare quelle dell’Iraq passo a passo per tutto il cammino». McClellan non fissa scadenze: «Ce ne andremo a missione finita».

La lunga telefonata con Chirac e le dichiarazioni del portavoce anticipano la strategia che Bush annuncerà nel tradizionale Messaggio sullo stato dell’Unione di inizio anno domani notte, giovedì mattina in Italia. Il presidente ha dedicato la giornata di ieri a consultare gli alleati iracheni, arabi ed europei. Agli alleati iracheni - il premier Allawi e il presidente Al Yawar - e agli alleati arabi - re Abdallah di Giordania, il principe saudita Abdullah e il presidente egiziano Mubarak - ha chiesto di sostenere una «politica d’inclusione dei sunniti» a Bagdad che legittimi il voto, la formazione del nuovo governo e il varo della Costituzione. Ai leader europei - il premier britannico Blair e il cancelliere tedesco Schröder - ha chiesto di contribuire alla stabilizzazione e ricostruzione irachene con una maggiore presenza, se possibile anche militare, contro il terrorismo.

Bush crede, ha riferito McClellan, «che le elezioni in Afghanistan, in Palestina e in Iraq abbiano fatto avanzare la libertà e la democrazia nel Medio Oriente e in Asia».

Ma è soprattutto sul fronte interno che il presidente americano ha bisogno d’appoggio. Un appoggio che si conquisterà nel messaggio di domani notte. Come ha commentato Andrew Kohut, il direttore dell’istituto Pew , il voto iracheno «è un successo di propaganda per il presidente e lo aiuterà a breve termine». All’America però non basterebbero un messaggio di conforto, il miglioramento a Bagdad, il riavvicinamento all’Europa. I cittadini si aspettano che Bush indichi una «onorevole via d’uscita dall’Iraq», come ha ammonito il capogruppo democratico al Senato Harry Reid. «Il presidente non è chiamato a stabilire delle date, ma ci deve presentare un piano realistico per il futuro - ha detto Reid, un moderato - in maniera che sappiamo che cosa s’intenda per vittoria, e come ci arriveremo».

Il senatore Ted Kennedy, il leader dei liberal, è stato più duro: «Il presidente richiami subito i 12 mila soldati in più che ha mandato in Iraq per le elezioni, e incominci a negoziare il disimpegno». Persino un senatore repubblicano, John Tune, mettendo in dubbio la svolta elettorale, ha sollecitato Bush a spiegare come «dal passo di ieri verso l’autogoverno l’Iraq possa giungere all'autodifesa» senza continuare a fare affidamento sulle truppe Usa.

È probabile che il presidente prenda tempo, in vista del viaggio del segretario di Stato Condoleezza Rice in Europa e in Medio Oriente nei prossimi giorni, e della sua visita a Bruxelles il 22. Al momento, ha dalla sua parte anche i media che lo avevano criticato. Ma nel Messaggio sullo stato dell'Unione , da lui posticipato proprio per crearsi un credito, Bush dovrà lanciare un segnale che in Iraq qualcosa è cambiato. Il coraggio dimostrato dagli iracheni alle elezioni non ha spento i dissensi. Per il politologo Larry Sabato non è chiaro se si sia trattato innanzitutto di un voto per l’ayatollah sciita Al Sistani, e quindi contro l’occupazione americana. E Brent Scowcroft, l'ex consigliere alla Sicurezza di Bush padre, pur plaudendo all’afflusso alle urne, si è chiesto se i contrasti etnici e religiosi non esploderanno, e se un governo integralista non potrebbe chiedere agli Stati Uniti di andarsene.

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