Da Corriere della Sera del 01/02/2005

Sunniti-sciiti i veri conti delle elezioni

di Magdi Allam

Si era detto che la guerra avrebbe provocato la spartizione dell'Iraq in tre entità curda, sciita e sunnita. Invece è crollato il regime tirannico di Saddam e l'Iraq è rimasto integro. Si era detto che le elezioni avrebbero trasformato l'Iraq in una Repubblica islamica sciita filo-iraniana. Invece è alquanto prevedibile che al governo ci saranno i laici. Laici che sono presenti nelle maggiori formazioni islamiche, curde e liberali nell'ambito di un governo di unione nazionale. Ora si tira in ballo la questione degli arabi sunniti: si dice che avendo boicottato il voto, le elezioni del 30 gennaio sarebbero illegittime, il Paese sarebbe di fatto diviso e prossimo a una guerra civile. Nell'attesa di conoscere i risultati ufficiali da parte della Commissione elettorale indipendente, la questione sunnita è ormai al centro di una speculazione ideologica e politica. Ieri il portavoce del Consiglio degli ulema sunnita, Omar Ragheb, ha affermato che «gli ulema sunniti non riconoscono alcuna legittimità a queste elezioni», perché «si sono svolte sotto occupazione». Il potere del «Consiglio» si basa sul controllo di circa 3 mila moschee. Per contro il ministro dell'Industria, il sunnita Hajem al Hassani, si è felicitato per la partecipazione dei sunniti nei governatorati di Salaheddine, Diyala e Ninive, a maggioranza sunnita: «Ci aspettavamo un tasso di partecipazione a una sola cifra, ma è risultato molto più consistente».

E’ possibile che alla fine la verità si situerà a metà strada. E’ verosimile che la partecipazione dei sunniti risulterà sostanzialmente inferiore rispetto a quella degli sciiti e dei curdi, ma non al punto da delegittimare un voto che ha comunque raccolto il consenso di oltre il 60% della popolazione. Ma il punto cruciale è che, a dispetto di un luogo comune, l’Iraq non è affatto diviso territorialmente su base etnico-confessionale. Ad esempio a Bagdad, su 5 milioni di abitanti, 2 milioni sono sciiti, 2 milioni sono sunniti e 1 milione sono curdi. Nel governatorato di Dyala, con capoluogo Baquba, convivono sciiti e sunniti. In quello di Ninive, con capoluogo Mosul, convivono sunniti e curdi. Così come una consistente comunità sunnita è presente a Bassora, considerata il capoluogo del Sud a maggioranza sciita.

Chiariamo che il problema concerne solo gli arabi sunniti, non tutti i sunniti, dato che anche la maggioranza dei curdi sono sunniti. Ebbene per comprendere quanto la realtà sia più complessa e articolata, basti considerare che il 52% degli oltre 7 mila candidati alle elezioni sono sunniti. Se stimiamo che i candidati curdi potrebbero rappresentare il 20 o 25% del totale, si deduce che almeno un quarto dei candidati sono arabi sunniti. Val la pena ricordare che il presidente ad interim Ghazi al Yawar, è sunnita ed è sostenuto dalla potente tribù degli Shammar che sono per metà sunniti e per metà sciiti. Nella sua lista figura il ministro della Difesa Hazem al Shaalan, uno sciita. Sunnita è il ministro dell'Interno Naqib al Fallah che invece milita nella lista del premier Allawi che è sciita.

La verità è che la presenza dei sunniti, al pari di quella sciita, sia sul piano territoriale che politico e ideologico, è diffusa a macchia di leopardo. L'Alleanza popolare, ovvero il Partito comunista, è capeggiata da uno sciita, Hamid Majid Musa, che a rigore dovrebbe essere condannato di apostasia dai religiosi della «Lista irachena unitaria» dell'ayatollah Al Sistani. Invece non si può escludere che collaborino in un futuro governo. Chi parla di un blocco sciita contrapposto a un blocco sunnita non fa che ripetere un luogo comune diffuso da Saddam perché aveva interesse a fomentare i dissidi interni. In definitiva il problema del boicottaggio elettorale, quello vero determinato da un veto politico e non da ragioni di sicurezza, riguarda una minoranza di sunniti che, come ha detto ieri il portavoce del Consiglio degli ulema, hanno stretto un'alleanza con la «resistenza».

Ossia i kamikaze e i lanciatori di razzi che il 30 gennaio hanno massacrato 36 elettori ma sono stati sconfitti da 8 milioni di iracheni che sono andati comunque a votare.

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