Da La Repubblica del 29/01/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/esteri/iraq41/prevoto/prevoto.html

Ma a Falluja non si sa dove si deve andare per votare. Strade deserte e tensione altissima, migliaia di soldati

A Bagdad, città chiusa una vigilia da incubo

di Bernardo Valli

BAGDAD - Via Rashid è deserta. I miliziani della Guardia Nazionale, senza faccia, mascherati con passamontagna, annidati sotto i portici di pietra nuda, qui chiamata italiana, la rendono sinistra. Da una finestra la voce potente, gracchiante, di un altoparlante apostrofa una macchina che ha osato inoltrarsi nella strada. Immagino impartisca un ordine. L'uomo al volante frena, innesta la retromarcia e se ne va senza forzare il motore. Direi a testa bassa, con la coda fra le gambe. La scena dà un'idea del clima, in queste ore che precedono il voto. Molti itinerari sono sbarrati dalle pattuglie americane. Girare per Bagdad è come addentrarsi in un labirinto.

I veicoli blindati da combattimento Bradley sono accostati al marciapiede; c'è anche qualche più massiccio carro armato Abrams. In mezzo alla strada GI e Marines fanno da vigili urbani. Il loro aspetto intimidisce, ma i loro gesti sono misurati. Non sono arroganti. Sono disciplinati. Nel paesaggio mediorientale sembrano piovuti da Marte. Indicano agli automobilisti le deviazioni obbligatorie servendosi dell'arma individuale. Di solito li mandano in vie secondarie, dove non ci sono edifici pubblici, ministeri, stazioni di polizia, alberghi frequentati da occidentali, dimore di personaggi importanti, già protetti da muri in cemento armato e rotoli di filo spinato.

Il comando della 1st Cavalry Division ha portato a Bagdad due battaglioni di un'unità d'élite, la 82nd Airborne, e, sempre qui, nella capitale, ha aggiunto la sua 2nd Brigade, con un supplemento di 5.000 uomini. A fianco di queste truppe americane sono schierati 7.600 soldati dell'esercito iracheno e 18.000 poliziotti, sempre iracheni. Rendendo pubbliche queste cifre, i responsabili militari americani hanno precisato che con tutta probabilità saranno necessari altri 7.000 poliziotti.

Questo sbandierato schieramento di forze nella metropoli di sei milioni di abitanti dovrebbe rassicurare gli elettori e dissuadere l'opposizione armata dal compiere le annunciate azioni di rappresaglia contro i cittadini diretti alle urne. Dovrebbe impedire a Zarqawi, il capo di Al Qaeda in Iraq, di trasformare le strade di Bagdad in fiumi di sangue, versato da chi oserà votare.

C'è tuttavia da chiedersi quale effetto ha in queste ore lo spettacolare spiegamento di forze su chi deve decidere se uscire o non uscire di casa domani, trenta gennaio. Se avevano ancora dubbi sulla autenticità delle minacce proferite da Zarqawi, adesso sanno che il comando americano e il governo provvisorio iracheno le prendono sul serio. Nella redazione del quotidiano Alsiyada, (che esprime le idee di un partito laico e liberale, il Gruppo repubblicano iracheno), un giornalista mi dice: "Uscendo di casa per raggiungere a piedi il seggio del quartiere, poiché le automobili saranno proibite, uno avrà l'impressione di passare tra due eserciti in guerra, uno visibile e l'altro invisibile". Il direttore, Abdul Sattar Jawad, pensa che l'affluenza non dovrebbe superare il 25-30 per cento nell'intero Paese. E che dovrebbe essere inferiore al 10 nelle zone sunnite. Vale a dire Bagdad. Se così fosse sarebbe un fallimento? Il direttore di Alsiyada allarga le braccia. Ma lui andrà a votare.

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Ritorno nella deserta via Rashid. E' una reliquia della vecchia Bagdad. E' una famosa strada decaduta nel cuore della città.

Nel '58, quando fu massacrata la famiglia reale e fu proclamata la Repubblica, gli insorti vi appesero il cadavere di Nuri Said, catturato mentre fuggiva vestito da donna. Ma via Rashid non resta nelle memorie soltanto per il macabro spettacolo della collera popolare. Se vi furono esposti (come in piazza Loreto) i resti di quel potente ministro (filo inglese) della monarchia, è perché la strada era una ribalta su cui si svolgevano i riti più significativi. E' là che si pavoneggiavano i ricchi e i potenti. I militari insorti di mezzo secolo fa, vi portarono per riflesso il corpo del ministro del re fucilato con la giovane moglie.

Via Rashid era anche il teatro della vita culturale. Il caffè Um Kalthum, dedicato alla più amata cantante (egiziana) del mondo arabo, era frequentato da letterati e artisti, che giocavano a scacchi e bevevano hamedh, una bevanda calda di cedro bollito, fino a notte inoltrata.

Adesso via Rashid non ha più niente di attraente. Sotto i portici di pietra nuda italiana si nascondono spesso piccoli rapinatori. E sarebbe incauto, per un occidentale, percorrerli anche in pieno giorno. Rischierebbe di essere sequestrato. Via Rashid è l'immagine della decadenza di Bagdad. Capitale di un Paese in guerra da quasi un quarto di secolo, avvilito da una crudele e ottusa dittatura per trenta anni, adesso sull'orlo di una guerra civile, forse già in corso.

Eppure in queste ore, nonostante le immagini di desolazione, e la violenza quotidiana che rischia di esplodere ancora più violenta, ci si sente alla vigilia di avvenimenti imprevedibili. Bagdad, con il suo ombelico, la deserta via Rashid, è il luogo in cui si gioca una partita che coinvolge anche il resto del mondo. Dal voto di domani può uscire tenebra, ma anche un po' di luce.

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Buia, e destinata a restare tale per molto tempo, è la situazione a Falluja: la città a cinquanta chilometri a Ovest di Bagdad, occupata fino a due mesi fa dall'opposizione armata (integralisti e saddamisti), ed ora presidiata dagli americani e dai governativi, che stentano a controllarla.

Anche là si apriranno i seggi elettorali. Sembra tuttavia azzardato, ed anche un po' insensato, pretendere che la gente vada a votare nella città devastata dai combattimenti e quasi deserta. Dei 250 mila (forse 300 mila) abitanti ne sono infatti ritornati per vivervi stabilmente soltanto 15 mila. Molti altri, più di 100 mila, si muovono come pendolari per vedere le loro case distrutte o danneggiate; ed anche per ricevere gli aiuti distribuiti dai militari americani in un campo sportivo. Poi raggiungono di nuovo le località in cui sono sfollati.

La guerriglia è infiltrata in quella popolazione disastrata e dispersa. E spesso solidale. Anche perché numerose sono le famiglie di militari dell'esercito incautamente sciolto dagli americani. E' assai improbabile che, in questa situazione, la gente di Falluja si avvicini alle urne, rischi la rappresaglia promessa da Zarqawi, o compia un gesto che risulterebbe un'infedeltà, o addirittura un tradimento, nei confronti di parenti e amici impegnati nella guerriglia. Si tratta inoltre, in larga parte di sunniti.

Tutto è talmente incerto, a Falluja, che gli indirizzi dei seggi non sono ancora stati resi pubblici. Lo saranno soltanto qualche ora prima della loro apertura.

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