Da Corriere della Sera del 19/01/2005

E’ un duello fra la tv e la moschea

di Magdi Allam

Le prime elezioni legislative libere nella storia dell'Iraq le vincerà chi riuscirà a veicolare meglio il proprio messaggio tramite il pulpito delle moschee o lo schermo della televisione. Sarà in definitiva un braccio di ferro tra il megafono di Allah innalzato nelle moschee, trasformate nella roccaforte dell'opposizione integralista islamica nell'epoca della dittatura di Saddam, e il più influente dei media moderni che è riuscito a rivoluzionare i costumi della società e a forgiare la mentalità delle nuove generazioni. E' proprio l'offensiva del terrore, che mira principalmente a impedire il regolare svolgimento del voto il 30 gennaio, ad aver impresso un'accelerazione forzata alla mediatizzazione della campagna elettorale. Dal momento che tutti sanno di rischiare seriamente la vita presentandosi di persona agli elettori in un comizio pubblico in piazza o anche in un edificio, i partiti, i raggruppamenti e i candidati singoli si sono trovati costretti ad affidare la loro propaganda a un medium. Se da millenni le moschee sono centri di formazione religiosa e ideologica, la loro più smaccata politicizzazione è maturata nell'ultimo trentennio. I sermoni del khatib, l'oratore, dal pulpito infiammano le masse a suon di fatwe, responsi giuridici, percepiti come un ordine sacro dai fedeli pii.

Questo è il caso dell'appello al voto lanciato dal grande ayatollah sciita Ali al Sistani. E che è stato sintetizzato nello slogan «Non votare è un premio al terrorismo» dal Raggruppamento iracheno unitario, capeggiato da Abdel Aziz al Hakim, leader del Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq. Ebbene Al Sistani ha mobilitato le migliaia di moschee che lo considerano come il loro marj'a , fonte di imitazione spirituale, a sostegno di al Hakim come futuro uomo forte dell'Iraq.

Nel farlo ha suscitato l'ira dell'attuale premier Iyad Allawi, anche lui sciita, che capeggia la «Lista irachena» rivale. Sostenuto paradossalmente, lui che è laicissimo e amico di Bush, da Moqtada al Sadr, un ribelle che aspira a una repubblica islamica. Così come è singolare che nella coalizione di al Sistani, fautore dell'islamizzazione della società, ma contrario a uno stato teocratico, figuri Ahmad Chalabi, ex beniamino della Cia.

Al Sistani si è giustificato dicendo che il suo Raggruppamento è costretto ad affidarsi alle moschee non disponendo di televisioni. Si tratta di una decina di emittenti pubbliche e private, irachene e non, su cui scorre la campagna elettorale dei partiti. Il punto è che quelle più influenti, Al Jazira , Al Arabiya , Alhurra , non simpatizzano con gli sciiti religiosi e paventano il rischio del loro monopolio del potere. Se si considera che, secondo un sondaggio di InterMedia del maggio 2004, il 99 per cento degli iracheni dispone di un apparecchio televisivo, il 70 per cento ha l'antenna parabolica e l'82 per cento dichiara che la tv è la fonte primaria dell'informazione, si comprendono le paure di al Sistani.

Vinceranno i candidati delle moschee o quelli della televisione? Per ora ha già vinto la democrazia: sono 7.471 i candidati in rappresentanza di 111 partiti. Questo è già un successo assoluto. Anche senza comizi pubblici l'Iraq liberato o occupato dagli americani sta offrendo l'esempio più evoluto di un processo democratico nel mondo arabo. Si comprende bene perché è il principale bersaglio del terrorismo e fa tanto paura ai regimi autocratici arabi.

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