Da Il Messaggero del 13/01/2005

Resta al palo il Sistema-Paese

di Enrico Cisnetto

CONTI pubblici oltre i parametri europei nei primi nove mesi del 2004, ma rientrati sotto il fatidico 3% con le manovre correttive di fine anno. Produzione industriale ferma anche nel quarto trimestre. Decreto sulla competitività ancora tutto da scrivere, con la Cisl che definisce “da ridere” la somma messa in campo dal governo e la Confindustria che sintetizza il suo giudizio con un lapidario “poche risorse, tante divisioni”. Sono questi gli elementi della vigilia dell'incontro, atteso ormai da mesi, che si terrà oggi tra il governo e le parti sociali sul rilancio della nostra economia. L'occasione giusta per fare il punto della situazione. Partiamo dal bilancio dello Stato. I dati Istat sul terzo trimestre, che chiariscono come nei primi nove mesi dell'anno l'Italia abbia sempre marciato oltre il tetto di Maastricht (in media il 3,6%), hanno innescato le consuete polemiche politiche. Sterili, perché le accuse del centro-sinistra non tenevano conto che in quei dati non erano ancora ricompresi gli effetti della manovra correttiva di luglio, i quali riporteranno sotto la soglia europea il rapporto deficit-pil (di poco, ma sotto), mentre la difesa a oltranza del centro-destra si dimentica di considerare che non c'è alcuna riduzione strutturale né del deficit né del debito, e ciò continua ad esporci a gravi pericoli e a tenerci nel mirino di Bruxelles.

Baruffe a parte, rimane il fatto che la crescita italiana è inferiore a quella continentale (che pure è modesta) e che i nostri conti pubblici sono troppo influenzati dalle misure una tantum per poterli considerare a posto. Il che, dopo la decisione di ridurre le tasse per 6 miliardi (di cui 4,8 di cassa e 1,2 di mancate entrate), significa che per tentare di arginare il processo di deindustrializzazione più pomposamente definito “recupero della competitività” sono rimasti 300 milioni. Anche ammesso che il provvedimento di revisione del tfr venga inserito nel decreto sulla competitività, ma finanziato a parte, come chiedono per motivi diversi Lega e An, quella cifra rimane abissalmente distante da quanto necessiterebbe per affrontare quella che oggi è “la” questione centrale del Paese: il declino del nostro capitalismo. Insomma, non si può prescindere dall'aggredire il nodo della competitività del sistema produttivo (crollata per i nostri ritardi e per l'emergere di paesi capaci di mettere sul mercato merci uguali alle nostre a costi enormemente più bassi), ma non abbiamo le risorse (e le idee chiare) per farlo con efficacia. Per fortuna nel governo ci si è accorti che la bozza di decreto preparata dal ministro Marzano era insufficiente (a prescindere dai soldi) e si è deciso, prudentemente, di non arrivare all'incontro di oggi con sindacati e Confindustria che paiono inveleniti, con un “prendere o lasciare”. Opportunamente, la palla è passata a Palazzo Chigi e a Siniscalco, e ancor più saggiamente il governo ascolterà cosa hanno da dire le parti sociali, riservandosi di stendere il decreto in una fase successiva. Il fatto è, però, che siamo maledettamente in ritardo, e che le divergenze dentro la maggioranza condite da quelle che hanno caratterizzato la vicenda delle liste per le prossime regionali rischiano di trasformare il decreto in una sorta di Finanziaria bis, dove si tenterà di far entrare tutto e il contrario di tutto con la scusa che tanto Berlusconi dovrà mediare. D'altra parte, non emerge alcuna proposta alternativa dalle file dell'opposizione, e quindi tutto è rimandato alla buona volontà delle parti sociali. Montezemolo ha già scritto al premier una lettera contenente alcune indicazioni “misure prioritarie per le imprese senza aggravio per la finanza pubblica” mentre nel sindacato è probabile che sia la solita Cisl di Pezzotta a farsi carico di un ruolo costruttivo. Vedremo. Ma rimane il fatto che le risorse scarse e i fumi di un'ormai iniziata campagna elettorale lasciano poche speranze a chi, come noi, vorrebbe che il recupero della competitività e la definizione di un nuovo modello di sviluppo due facce della stessa medaglia fossero al centro dei pensieri della politica e del Paese.

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