Da Corriere della Sera del 05/01/2005

Il presidente sunnita Al Yawar si appella all’Onu: «Dica se è davvero possibile andare alle urne il 30 gennaio»

Massacrato il governatore di Bagdad

Il premier Allawi chiama Bush. Tra voci e smentite, affiora l’ipotesi di un rinvio del voto

di Alessandra Farkas

NEW YORK - Una nuova ondata d'attentati ad altissimo profilo, alla vigilia delle elezioni irachene, torna a mettere in dubbio la tabella di marcia per la democratizzazione del Paese disegnata dall'amministrazione Bush. Ieri le milizie guidate dal terrorista Abu Musab al Zarkawi hanno rivendicato l'assassinio del governatore della provincia di Bagdad, Ali Radi al Haidari.

Haidari - il più alto funzionario iracheno ad essere ucciso dal maggio scorso - è morto insieme a una guardia del corpo, nell'agguato contro il convoglio a bordo del quale viaggiava nella parte occidentale di Bagdad. Qualche ora prima, nei pressi della Zona Verde, l'esplosione di un'autobomba aveva provocato 11 morti e 60 feriti.

Immediata la condanna della Casa Bianca, che però ha colto l'occasione per ribadire come «le elezioni irachene si terranno nella data prevista: il prossimo 30 gennaio». «Per la maggior parte del Paese la situazione è abbastanza sicura da poter procedere con le operazioni di voto», ha dichiarato il portavoce del presidente Bush, che secondo il quotidiano Usa Today si prepara a chiedere al Congresso americano sino a 100 miliardi di dollari, nel 2005, per le spese belliche da sostenere in Iraq e in Afghanistan.

Dalla Tailandia, dove si trova in missione, anche il Segretario di Stato americano Colin Powell ha sottolineato che «le consultazioni non subiranno alcun ritardo, come vorrebbero i terroristi». Ma la recente escalation nella campagna per far affondare il voto ha cominciato ad erodere il consenso all'interno del governo ad interim alleato degli Usa, i cui membri si sentono sempre più vulnerabili agli attacchi.

Il presidente sunnita Ghazi al Yawar è l'ultimo di una serie di politici a mettere in dubbio l'opportunità di recarsi alle urne il 30 gennaio. «Ci sono segnali che far svolgere le elezioni sarà difficile», si lamenta in un'intervista il presidente. Che si appella all'Onu, come «unico strumento indipendente» che può «valutare se le consultazioni siano possibili in questo clima di violenza».

Dopo aver ribadito più volte che «la data non si cambia», persino il premier iracheno ad interim Iyad Allawi comincerebbe ad avere dubbi sulla capacità delle forze di sicurezza di proteggere non solo gli elettori ma anche la classe dirigente, all'approssimarsi dello scrutinio. Ieri la Casa Bianca ha confermato che, alcune ore dopo essere sfuggito a un attentato, Allawi ha telefonato al presidente Bush «per parlare degli ostacoli alle elezioni».

Il portavoce Scott McClellan ha smentito che il presidente e il premier abbiano «discusso del rinvio delle elezioni irachene». Ma funzionari dell'amministrazione citati dal New York Times hanno interpretato la telefonata di Allawi come «un segnale di preoccupazione per un'eventuale sconfitta del suo partito, qualora le elezioni dovessero svolgersi a fine mese». Ad esprimersi in maniera netta contro il rinvio è invece il ministro degli Esteri di Bagdad. «La posizione ufficiale è che le elezioni si svolgeranno nella data prevista», ha dichiarato ieri Hoshyar Zebari, respingendo l'idea di una proroga, avanzata dal suo collega della Difesa Hazem Shaalan. Che in una conferenza stampa tenuta lunedì al Cairo suggeriva di «posporre la data, in modo da permettere a tutti gli iracheni, sunniti inclusi, di recarsi ai seggi in un unico giorno».

La scorsa settimana l'ambasciatore iracheno presso le Nazioni Unite, Samir al Sumaidaie, aveva lanciato la proposta di un numero «minimo» di seggi da riservare a quei gruppi i cui sostenitori scelgano di non recarsi alle urne a causa delle condizioni di sicurezza. O di lasciare un certo numero di seggi vacanti a diposizione delle province sunnite che potrebbero votare in una data successiva.

Secondo gli osservatori, una bassa affluenza alle urne della comunità sunnita minerebbe la legittimità dei risultati del voto, dal quale dovrà uscire l'assemblea nazionale incaricata di redigere la nuova costituzione. «Molto meglio rimandare le elezioni», scrive in un editoriale sul Washington Post Adnan Pachachi, ex ministro degli esteri sunnita e leader del Partito Democratico Indipendente. «In un Paese che non vota da quasi mezzo secolo - dice Pachachi - la legittimità delle elezioni conta più della loro data». Soprattutto se è vero, come afferma il capo dei servizi segreti iracheni Mohammed al-Shehwani, che «il numero degli insorti in Iraq ormai supera quello dei militari americani». «Dopo due anni senza alcun tipo di miglioramento la gente è esasperata - spiega al-Shehwani - e ha deciso di appoggiare in massa i ribelli».

La gravità della situazione è tale che il comandante delle truppe Usa in Iraq, il generale George W. Casey, starebbe valutando la proposta di affiancare alle nuove forze militari e di sicurezza irachene centinaia di «consiglieri» militari americani.

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