Da La Stampa del 05/01/2005

Il monitoraggio degli tsunami

La prevenzione si può globalizzare

di Tito Boeri

Le immagini satellitari con lo tsunami che si avvicina inesorabilmente alle coste dello Sri Lanka, dell'India e poi dell'Africa ci ricordano che il mondo ha avuto più di sette ore di vantaggio sull'onda assassina. Nell'era della globalizzazione e di Internet non ha saputo sfruttarle per lanciare l'allarme. Il rimpianto è grande perché un preavviso, anche minimo, sarebbe bastato a salvare migliaia di vita umane, così come è servito a salvare - grazie al loro istinto primordiale - molti animali. Il fatto è che la globalizzazione permette un migliore coordinamento di risorse comuni, ma qualcuno deve farsene carico. E questo qualcuno non può che essere in prima persona la parte più ricca del mondo.

Si sono fatti in questi giorni molti ragionamenti col senno di poi. Vero che una minima informazione preventiva avrebbe ridotto le perdite di vite umane. Molte persone hanno reagito nella maniera sbagliata all'arrivo dell'onda anomala rimanendo in acqua anziché scappare nell'entroterra per porsi al riparo e i sopravvissuti allo tsunami, sono stati colpevolmente fatti tornare a Phuket a solo un'ora di distanza dall'evento, quando il pericolo di una nuova onda anomala era tutt'altro che scongiurato. Ma non bisogna dimenticare che era dal 1882 che un evento di questo tipo non si manifestava su quelle coste. Questo spiega l'impreparazione della popolazione locale a fronteggiare lo tsunami.

Meglio invece guardare in avanti. Strutture di monitoraggio - come il Pacific Tsunami Warning Center di Honolulu - sono in grado di segnalare il formarsi di queste onde anomale riducendo fortemente il rischio di perdite di vite umane. Anche solo un semplice coordinamento internazionale delle protezioni civili avrebbe permesso di lanciare l'allarme non appena resisi conto di quanto stava avvenendo. Gli esperti del centro di Honolulu hanno cercato invano di contattare chi poteva lanciare l'allarme sulle spiagge di alcune delle località poi colpite. Perché non era stata messa in piedi anche nell'Oceano Indiano una struttura di coordinamento simile a quella del Pacifico? Probabilmente perché vi sono oneri elevati da sostenere per finanziare queste strutture, la probabilità del manifestarsi di onde anomale è bassa (il 90% degli tsunami avviene nel Pacifico) e molti paesi possono beneficiare di questo investimento senza avervi contribuito, dunque hanno pochi incentivi a condividere il suo finanziamento, soprattutto disponendo di risorse limitate.

Probabilmente ora un centro di questo tipo verrà creato anche nell'Oceano Indiano. Ma c'è anche un'altra domanda da porsi. Perché l'unico centro di prevenzione esistente riguarda solo l'area del Pacifico e non l'intero pianeta? Perché i governi dei paesi occidentali, quelli che avrebbero le risorse per monitorare questi fenomeni e coordinare la protezione civile, continuano a operare come se la prevenzione di catastrofi naturali non fosse un problema di cui farsi carico in prima persona. Forse non basterà la conta dei morti occidentali a farli ricredere su questo punto. Questi stessi governi sapevano che decine di migliaia di loro concittadini si recano ogni anno su quelle coste. Forse hanno anche pensato di finanziare strutture di prevenzione in Thailandia e in Sri Lanka, ma si sono ricreduti valutando che risorse donate a questo scopo potessero poi essere utilizzate altrimenti dalle autorità locali che, in non pochi casi, sono impegnate in guerre civili. Ma sulle catastrofi naturali potenzialmente a carattere globale non può esserci una giurisdizione locale. Non si tratta di affidare risorse a terzi, delegando loro il compito di mettere in piedi queste strutture. Al contrario, chi oggi ha le risorse e l'organizzazione per gestire le opportunità di coordinamento offerte dalla globalizzazione deve farsi carico di questo coordinamento su scala globale in prima persona, puntando gradualmente a coinvolgere altri paesi in questo sforzo. Il 2005 si annuncia come denso di appuntamenti importanti nell'impegno a favore del Sud del mondo. Speriamo che segni davvero per i paesi più ricchi una presa d'atto delle nuove responsabilità imposte loro dalla globalizzazione.

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