Da Corriere della Sera del 03/01/2004

Lo rivelano al «Washington Post» fonti della Difesa e dei servizi segreti. Le proteste di democratici e repubblicani. Se il Congresso non darà i fondi, è pronto un piano B

Guantanamo bis: carcere a vita senza processo

Il governo Usa progetta la nuova prigione «Camp 6». Dove rinchiudere sospetti terroristi già interrogati

di Alessandra Farkas

NEW YORK - L'Amministrazione Bush sta mettendo a punto un piano per mantenere in carcere a vita sospetti terroristi che Washington non intende scarcerare o portare davanti ai tribunali americani o stranieri. Inclusi coloro per i quali non possiede prove sufficienti da esibire davanti a un giudice.

Lo rivelano al Washington Post fonti diplomatiche, della Difesa e dei servizi segreti, secondo cui il Pentagono e la Cia avrebbero chiesto alla Casa Bianca di creare «una soluzione permanente» per alcuni dei circa 500 detenuti di Guantanamo e delle tre dozzine di persone rinchiuse nelle prigioni segrete della Cia sparse per il mondo.

La nuova politica, avallata dal Dipartimento di Stato, verrà applicata anche ai sospetti catturati in futuro. «Dato che la guerra globale al terrorismo è un problema a lungo termine, è indispensabile trovare soluzioni a lungo termine», spiega Bryan Whitman, portavoce del Pentagono.

Per sistemare questa massa di detenuti che fino a oggi hanno creato enorme imbarazzo internazionale e querele da parte dei gruppi per la difesa dei diritti umani, il governo Usa intende chiedere al Congresso 25 milioni di dollari per la costruzione di una prigione «moderna e di tipo occidentale», «con 200 posti letto».

Il nuovo carcere, ribattezzato «Camp 6», sarà strutturato come un normale penitenziario americano e destinato ai detenuti già spremuti al massimo, che non hanno più nulla da offrire all'intelligence americana. «In questa struttura godranno di maggiori libertà e potranno anche socializzare», sottolinea un alto funzionario.

Ma la proposta di condannare all'ergastolo e senza processo individui contro i quali non esistono vere prove ha ricevuto un'immediata bocciatura bipartisan. «E' una pessima idea», ha commentato a caldo Richard Lugar, senatore repubblicano dell'Indiana, presidente della Commissione Esteri del Senato. Dello stesso avviso Carl Levin, democratico del Michigan e membro della Commissione Forze Armate, che parla di proposta «incostituzionale».

Qualora i fondi del Congresso non dovessero materializzarsi, il governo ha già in cantiere una alternativa: il trasferimento di detenuti afghani, sauditi e yemeniti da Guantanamo a carceri appositamente costruite dagli americani nei loro Paesi d'origine. «Le prigioni verranno gestite da questi Paesi - scrive il Post - mentre il Dipartimento di Stato verificherà il rispetto degli standard internazionali sui diritti umani».

Il problema più grave riguarda gli individui arrestati dalla Cia dopo l'11 di settembre e detenuti in una zona off-limits della base aerea di Bagram in Afghanistan, su navi in alto mare, e sull'isola inglese Diego Garcia nell'Oceano indiano. Pochissime le informazioni su identità, luoghi e condizioni di detenzione. Ciò ha sollevato numerose proteste da parte di organizzazioni per la difesa dei diritti umani e membri del Congresso, secondo i quali la mancanza di ogni monitoraggio «crea un rischio inaccettabile di abusi».

A differenza della Cia, dopo lo scandalo di Abu Ghraib, il Pentagono ha reso pubbliche centinaia di pagine di documenti sui metodi di detenzione e interrogatorio. I detenuti delle forze armate hanno inoltre accesso al Comitato internazionale della Croce Rossa e, in seguito a una decisione della Corte Suprema di Washington, hanno il diritto di contestare la loro carcerazione in un tribunale federale.

Al contrario, sottolinea il Post , la Cia ha ormai istituzionalizzato la pratica introdotta negli anni ’90 per catturare i re della droga e denominata « rendition », che consiste nel trasferire i sospetti catturati all'estero in Paesi terzi - quasi sempre dittature - che si offrono di incarcerarli a tempo indefinito e torturarli, senza processo. «Non è giustizia ma sequestro di persona», ammette candidamente un funzionario della Cia.

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