Da Corriere della Sera del 28/12/2004
Nuovo messaggio attribuito a Osama: «Al Zarkawi è l’emiro di Al Qaeda, seguitelo e obbeditegli»
Bin Laden: infedele chi vota in Iraq
Fallisce un attacco contro lo sciita Al Hakim: 15 morti. Il primo partito sunnita si ritira dalle elezioni
di Cecilia Zecchinelli
Non avranno forse la stessa evidenza avuta in passato sui media occidentali, le nuove minacce scandite ieri su Al Jazira dalla voce suadente di Bin Laden. L’attenzione del mondo è ancora tutta per un altro orrore, quello del maremoto in Asia. Ma che in Iraq le cose si stiano mettendo al peggio con l’avvicinarsi delle «storiche elezioni» del 30 gennaio è innegabile. Chi ancora ne dubita guardi alla giornata di ieri. Nel corso di poche ore sono arrivate le notizie di un fallito attentato al leader sciita Abdel Aziz Al Hakim, costato comunque la morte a Bagdad di 15 persone e il ferimento di almeno 50; del ritiro del più grande partito sunnita dalle elezioni, sul cui successo Washington e alleati hanno puntato pesantemente; del nuovo messaggio di Osama, con tanto di fatwa contro gli iracheni «miscredenti» che oseranno andare al voto e prima investitura ufficiale del giordano Abu Musab Al Zarkawi come suo «emiro» in Iraq.
Del breve messaggio attribuito allo sceicco del terrore, particolarmente attivo nella comunicazione negli ultimi tempi, l’Iraq è il cuore e il fine: «È chiaro che la costituzione fatta dall’occupante americano Bremer è blasfema - ha affermato il capo di Al Qaeda -. Dicevano che il 90% degli articoli si sarebbe basata sull'Islam, invece sono solo il 10%». E quindi, aggiunge Bin Laden lanciando l’ennesima fatwa senza valore legale per l’Islam ortodosso ma politicamente micidiale, «chi partecipa coscientemente alle future elezioni è un kàfir , un miscredente». I partiti che si dicono islamici e chiedono alla gente di votare sono «ciarlatani», aggiunge. Piuttosto, che gli iracheni ascoltino Al Zarkawi, riconosciuto per la prima volta come suo luogotenente in Iraq dopo aver prestato giuramento al capo di Al Qaeda alcuni mesi fa. «Considero l'emiro dei mujahidin Al Zarkawi un vero soldato di Allah, il leader di Al Qaeda in Iraq che tutti dovrebbero seguire obbedendogli: le sue operazioni contro gli americani e il governo Allawi ci riempiono di felicità ed orgoglio».
Che sia autentico o no il messaggio forse cambia poco: diffuse ovunque da Al Jazir a e poi dagli altri media, quelle parole sono state nuova benzina gettata su un fuoco che divampa sempre più forte. Poche ore prima, a Bagdad, un’autobomba guidata da un kamikaze aveva demolito la facciata di una villa, già residenza del premier di Saddam, Tarek Aziz, dove oggi ha sede lo Sciri, Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq e maggior partito sciita del Paese. Nell’esplosione sono rimaste distrutte 32 auto, 15 persone sono morte, oltre 50 sono rimaste ferite. Ma il leader del partito e principale obiettivo dell’attentato, Al Hakim, è rimasto illeso all’interno dell’edificio. La sua morte sarebbe stata disastrosa, anche perché proprio il 45enne esponente sciita (fratello dell’ayatollah Mohammad Baqr assassinato da un kamikaze nel 2003) è candidato alla poltrona di primo ministro come capolista della neonata Alleanza dell’Iraq Unito. Ovvero della formazione favorita nelle prossime elezioni, che raccoglie 228 candidati (per lo più sciiti ma anche curdi e sunniti), sostenuta dalla massima autorità sciita dell’Iraq, il Grande Ayatollah Ali Sistani (che ha invece emesso una fatwa che obbliga gli sciiti a votare).
Ma sul fronte politico la notizia che ieri ha pesato come un macigno sulle elezioni ormai alle porte e sui progetti americani di indirle comunque e senza ritardi è stata la rinuncia a correre del Partito Islamico Iracheno. «Non è un boicottaggio, noi crediamo nelle elezioni e vogliamo parteciparvi se saranno convocate in modo corretto. Ma ci ritiriamo perché mancano alcune condizioni necessarie», ha dichiarato ieri Muhsin Abd Al Hamid, capo della più importante e antica formazione sunnita irachena e una delle poche ad aver finora deciso di sostenere le elezioni che saranno dominate dalla maggioranza sciita. Il Partito Islamico, in sordina, aveva infatti presentato una lista di 275 candidati ma poi aveva chiesto con altri partiti minori uno slittamento del voto di sei mesi. Ieri, Al Hamid ha parlato di «mancanza di sicurezza», di almeno «cinque o sei province su 18 dove il voto non sarà regolare», ha ribadito di «sostenere il processo elettorale del nuovo Iraq». In sordina, così come aveva appoggiato il voto un mese fa, ha fatto un passo indietro da una situazione che si presenta ogni giorno più difficile.
Del breve messaggio attribuito allo sceicco del terrore, particolarmente attivo nella comunicazione negli ultimi tempi, l’Iraq è il cuore e il fine: «È chiaro che la costituzione fatta dall’occupante americano Bremer è blasfema - ha affermato il capo di Al Qaeda -. Dicevano che il 90% degli articoli si sarebbe basata sull'Islam, invece sono solo il 10%». E quindi, aggiunge Bin Laden lanciando l’ennesima fatwa senza valore legale per l’Islam ortodosso ma politicamente micidiale, «chi partecipa coscientemente alle future elezioni è un kàfir , un miscredente». I partiti che si dicono islamici e chiedono alla gente di votare sono «ciarlatani», aggiunge. Piuttosto, che gli iracheni ascoltino Al Zarkawi, riconosciuto per la prima volta come suo luogotenente in Iraq dopo aver prestato giuramento al capo di Al Qaeda alcuni mesi fa. «Considero l'emiro dei mujahidin Al Zarkawi un vero soldato di Allah, il leader di Al Qaeda in Iraq che tutti dovrebbero seguire obbedendogli: le sue operazioni contro gli americani e il governo Allawi ci riempiono di felicità ed orgoglio».
Che sia autentico o no il messaggio forse cambia poco: diffuse ovunque da Al Jazir a e poi dagli altri media, quelle parole sono state nuova benzina gettata su un fuoco che divampa sempre più forte. Poche ore prima, a Bagdad, un’autobomba guidata da un kamikaze aveva demolito la facciata di una villa, già residenza del premier di Saddam, Tarek Aziz, dove oggi ha sede lo Sciri, Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq e maggior partito sciita del Paese. Nell’esplosione sono rimaste distrutte 32 auto, 15 persone sono morte, oltre 50 sono rimaste ferite. Ma il leader del partito e principale obiettivo dell’attentato, Al Hakim, è rimasto illeso all’interno dell’edificio. La sua morte sarebbe stata disastrosa, anche perché proprio il 45enne esponente sciita (fratello dell’ayatollah Mohammad Baqr assassinato da un kamikaze nel 2003) è candidato alla poltrona di primo ministro come capolista della neonata Alleanza dell’Iraq Unito. Ovvero della formazione favorita nelle prossime elezioni, che raccoglie 228 candidati (per lo più sciiti ma anche curdi e sunniti), sostenuta dalla massima autorità sciita dell’Iraq, il Grande Ayatollah Ali Sistani (che ha invece emesso una fatwa che obbliga gli sciiti a votare).
Ma sul fronte politico la notizia che ieri ha pesato come un macigno sulle elezioni ormai alle porte e sui progetti americani di indirle comunque e senza ritardi è stata la rinuncia a correre del Partito Islamico Iracheno. «Non è un boicottaggio, noi crediamo nelle elezioni e vogliamo parteciparvi se saranno convocate in modo corretto. Ma ci ritiriamo perché mancano alcune condizioni necessarie», ha dichiarato ieri Muhsin Abd Al Hamid, capo della più importante e antica formazione sunnita irachena e una delle poche ad aver finora deciso di sostenere le elezioni che saranno dominate dalla maggioranza sciita. Il Partito Islamico, in sordina, aveva infatti presentato una lista di 275 candidati ma poi aveva chiesto con altri partiti minori uno slittamento del voto di sei mesi. Ieri, Al Hamid ha parlato di «mancanza di sicurezza», di almeno «cinque o sei province su 18 dove il voto non sarà regolare», ha ribadito di «sostenere il processo elettorale del nuovo Iraq». In sordina, così come aveva appoggiato il voto un mese fa, ha fatto un passo indietro da una situazione che si presenta ogni giorno più difficile.
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