Da La Repubblica del 30/12/2004

I dissidenti denunciano: molti morti e aree devastate ma il governo non vuole ammetterlo

"C´è una strage nascosta" il regime tace sulle vittime

Organizzazioni umanitarie al lavoro quasi di nascosto lungo le coste

di Francesca Caferri

LONDRA - Novanta morti. Quasi nulla rispetto alla migliaia di cadaveri accatastati nelle strade e negli ospedali dei paesi vicini. Ma i dissidenti, gli esiliati e le vittime del regime militare che da anni opprime quel paese, pensano che il bilancio sia parziale, molto parziale, e che dietro ad esso si nasconda una realtà più drammatica che il governo cerca di nascondere. E il tam tam degli esuli fa fosche previsioni sul numero dei morti. Soprattutto in Inghilterra dove vive la più vasta comunità birmana e dove abitano, dietro identità segrete, i figli della premio Nobel Aung San Suu Ky, dirigente dell´opposizione da anni agli arresti domiciliari nonostante gli appelli di tutta la comunità internazionale.

La Birmania, che si trova in una zona relativamente vicina all´epicentro del terremoto sottomarino ma ancora oggi sui siti internet ufficiali di Rangoon non ci sono notizie sullo tsunami: la home page del governo, alla voce news, racconta dei successi economici del paese e delle riunioni governative. Tutto è congelato al 26 dicembre.

I rappresentanti del governo ci hanno messo 48 ore per ammettere che lo tsunami aveva coinvolto anche la Birmania: il bilancio ufficiale delle vittime è stato prima fissato a una ventina di vittime, per poi passare a 43, mentre le agenzie internazionali presenti nel paese lo fissavano ad «almeno 90». Ma fonti indipendenti citate da Democratic Voice of Burma, una dei siti di riferimento dei dissidenti, parlano di cento morti nel solo villaggio di Aungba, sulla costa meridionale.

Dalla capitale, i rappresentanti delle agenzie Onu parlano solo a condizione di mantenere l´anonimato ai siti Internet vicini all´opposizione birmana, dai quali arrivano le informazioni più dettagliate. Raccontano che i danni maggiori sono stati registrati nelle zone di Tenasserim e del delta del fiume Irrawaddy, a sud della capitale nei pressi del tratto di mare che guarda verso le isole indiane Andamane, semi-distrutte dalla tragedia: qui sono state registrate la maggior parte delle vittime «ufficiali». Ma le informazioni sono frammentarie, e i conti non tornano: si sa che dodici persone sono morte per il crollo del ponte dove stavano transitando nella zona di Kawthaung, vicino al confine con la Thailandia e che un numero imprecisato di pescatori che erano in mare quando l´onda si è alzata risultano dispersi. Ma i loro nomi non sono nei bilanci governativi.

Tutto ciò, unito alla vicinanza con le isole Andamane, quasi spazzate via dall´onda, fa temere che la giunta militare non stia dando un quadro attendibile della situazione, probabilmente per tenere lontani gli uomini dei soccorsi internazionali. «La Birmania non ha mai fornito dati ufficiali, non ci sono immagini eppure ci sono centinaia di isolette e migliaia di chilometri di coste. Tutto questo significa che il paese sarà escluso dai progetti di aiuto umanitario. E´ una tragedia nella tragedia», ha detto ieri Daniele Capezzone, segretario di radicali.

In un quadro tanto confuso da Rangoon gli uomini dell´Onu confermano solo che dal governo non sono arrivate richieste di assistenza: nonostante ciò sia le agenzie non governative presenti nel paese che i rappresentanti delle Nazioni Unite hanno avviato missioni esplorative nelle zone costiere e in particolare nel delta dell´Irrawaddy, dove è alto il rischio di contaminazione delle acque. Ai villaggi toccati dallo tsunami stanno portando cibo, acqua e coperte: forse solo al loro ritorno sarà possibile capire cosa davvero sia accaduto in quelle zone.

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