Da Corriere della Sera del 29/12/2004

Il Cile sulle orme delle tigri dell'est

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Alla Casa Bianca si riparla di un «modello cileno». E non solo perché il presidente Bush s’ispira al Cile per privatizzare in parte il sistema pensionistico Usa. Ma anche perché «la più competitiva repubblica del Sud America», come l’ha definita il Business Administration Institute, sembra volere fare il bis del decennio d’oro ’89-97, quando il suo Pil (o prodotto interno lordo) crebbe di oltre il 7 per cento all’anno. La Banca del Cile prevede per il 2004 una crescita economica di quasi il 6 per cento, il doppio della media dell’ultimo triennio. E il presidente Ricardo Lagos, che prima delle breve recessione del 2002 venne bruscamente invitato da Business Week a «rinfrescare» la politica economica, proclama - forse con un eccesso di ottimismo - che il Paese potrebbe raggiungere il livello delle potenze industriali entro il 2010. Si riparla di un «modello cileno» anche alla Banca mondiale, a cui il Cile dovrebbe rimborsare 600 milioni di dollari di debito.

L’economista Glenn Hubbard, un ex consigliere di Bush candidato alla successione ad Alan Greenspan al comando della Federal Reserve, la banca centrale Usa, attribuisce il merito del «secondo miracolo» a Santiago all’ingresso del Cile, un anno fa, nella Zona di libero scambio americana formata dagli Usa, il Canada e il Messico - altro assunto forse prematuro. Ma, come l’accordo commerciale con l’Ue, questo è solo uno dei fattori della ripresa cilena, ribatte il monetarista Steve Hanke. «I nuovi trattati hanno favorito il boom delle esportazioni, salite del 52,6 per cento rispetto al 2003 - osserva Hanke -. Ma il Cile è stato aiutato dall’aumento del 33,3 per cento del prezzo del rame, di cui è il massimo produttore ed esportatore al mondo; dall’ascesa della Borsa, il 30 per cento, e degli investimenti da capitale; dal basso livello dell’inflazione, il 2,5 per cento; dalla stabilità del peso; e via di seguito. Non si può chiamarlo la tigre sudamericana, cugina di quelle asiatiche».

Per la Banca mondiale, il rilancio economico cileno è frutto innanzitutto della saggia gestione macroeconomica del governo Lagos. Dopo il suo passaggio dallo statalismo al libero mercato negli anni Settanta e Ottanta, i governi cercarono sempre di tenere il bilancio in attivo dell’1 per cento circa del Pil; di limitare il debito pubblico, oggi il 38 per cento dello stesso Pil; di evitare deficit dei conti correnti. La Banca del Cile li ha assecondati, equilibrando espansione e inflazione: «Quando a settembre il Pil è cresciuto del 7,7 per cento - ricorda Hanke - e l’economia rischiò di surriscaldarsi, la Banca portò i tassi d’interesse al 2,25 per cento, lo stesso livello di quelli americani». Ma Lagos, il cui mandato scadrà tra un anno, ha il suo tallone d’Achille nella disoccupazione, il 9,2 per cento, addirittura il 32,5 per cento per i giovani dai 15 a1 19 anni. E oltre il 20 per cento dei 15 milioni di cileni vive tuttora sotto il livello di povertà, una vera emergenza sociale.

E’ di nuovo attuale, ammette anche Hubbard, l’appello di Business Week al Cile a «rinfrescare» l’economia. E, per la repubblica sudamericana, il modello da seguire sono proprio le tigri asiatiche. Lagos, che ne è consapevole - e sogna una Silicon Valley cilena -, ne discusse con il presidente cinese Hu Jintao alla conferenza dell’Apec, l’Associazione economica del Pacifico, a Santiago in novembre. Il Cile deve ai servizi il 54 per cento del Pil, contro il 39 per cento dell’industria e il 6 per cento dell’agricoltura.

Ma manca di una solida base hi-tech: ad esempio, spende nella ricerca lo 0,6 per cento del Pil contro il 2,7 per cento della Corea del Sud. La riforma strutturale più urgente è quella tecnologica, gli suggerì Hu Jintao, proponendogli una serie di accordi. Un consiglio interessato: il leader cinese, che in occasione dell’Apec visitò anche il Brasile, l’Argentina e Cuba, pare deciso a competere contro gli Usa sul mercato sudamericano su tutti i fronti.

Dall’accoglienza che gli riservarono i cileni - migliore di quella riservata a Bush - la sfida è benvenuta. La Cina è il terzo mercato per le loro esportazioni, dopo gli Usa e il Giappone.

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