Da Corriere della Sera del 20/12/2004

Attacchi kamikaze nelle città sante degli sciiti

Inferno in Iraq: oltre 60 morti a Karbala e Najaf. Agguato a Bagdad: uccisi a sangue freddo tre addetti al voto

di Andrea Nicastro

NASSIRIYA - Stragi nelle città sante e terrore a Bagdad. Almeno 62 morti e 130 feriti all'ombra delle moschee più sacre dell'Iraq meridionale e tre uomini uccisi a sangue freddo in mezzo al traffico del mattino, in Haifa Street, come dire via del Corso a Roma o piazza San Babila a Milano. Kamikaze, autobombe e ribelli in azione contemporaneamente in un solo giorno. Guerriglieri tanto temerari e sicuri della propria rete di complicità, da agire a volto scoperto.

Il primo attacco di ieri proprio nella capitale. In quella Haifa Street che chi abita a Bagdad è costretto a percorrere almeno una volta al giorno. Con la chiusura al traffico della «Green zone», l'area blindata del governo provvisorio e delle ambasciate, Haifa Street è diventato lo snodo insostituibile per andare in qualunque direzione. Gli enormi, moderni condomini che Saddam aveva costruito per la sua nomenklatura fanno da argine al fiume di auto, ma permettono alla guerriglia di sparire nella foresta di appartamenti dove tutti si conoscono e tutti erano (sono) dalla parte dell'ex raìs.

Sono le 8,30 del mattino. Il traffico è praticamente fermo. Uomini armati camminano tra le auto, le fermano puntando le pistole, guardano dai finestrini. Sembra che cerchino qualcuno. Non ci sono poliziotti o marines, solo un fotografo dell'agenzia americana Ap che guarda da lontano attraverso un teleobbiettivo. La sua sequenza di scatti mette i brividi. Ma di certo non può intervenire quando i guerriglieri cominciano a sparare contro un'auto. A bordo ci sono cinque funzionari della Commissione Elettorale irachena. Due riescono a scappare, piegati per sfuggire alle pallottole tra le macchine in coda. Altri due vengono strappati dalla vettura. Indossano la kefia, il copricapo tradizionale reso celebre da Arafat. «In ginocchio» ordinano i ribelli. E poi sparano. Alla testa. Il terzo che esita ancora dentro l'auto viene freddato lì, sui sedili. I ribelli appiccano fuoco all'auto, ma non scappano. Continuano il loro irridente posto di blocco per decine di minuti e reagiscono sparando anche quando una pattuglia americana tenta di avvicinarsi. Appaiono addestrati, spavaldi, spietati. Sono rasati, vestiti all'occidentale.

E' facile immaginarli ex membri dell'apparato repressivo di Saddam Hussein. Ci vuole un elicottero americano Apache per convincerli ad abbandonare la posizione.

Cinque ore dopo la prima esplosione nelle città sante sciite. Tocca a Karbala. Un kamikaze guida un'auto imbottita di esplosivo. Lo fermano dei poliziotti iracheni, all'ingresso del piazzale dove si prendono i taxi collettivi per le altre città dell'Iraq. E’ a poche centinaia di metri dal santuario dell’imam Hussein. Quello degli agenti non è neppure un posto di blocco. Ma è sufficiente. Il «martire» esita qualche secondo. Ma decide di farsi esplodere anche se probabilmente il suo obiettivo era poco più in là. Si conteranno 14 morti e 34 feriti.

Passano un paio d’ore e la scena si ripete a Najaf, la più importante delle città sante per gli sciiti. Lì è seppellito l’imam Alì e lì ha sede il gran consiglio degli ayatollah che ha ispirato la lista elettorale favorita al voto di fine gennaio.

L’autobomba arriva al centro di un parcheggio di autobus e quando esplode è un massacro. Quasi 50 persone dilaniate, quasi cento i feriti. I dignitari sciiti leggono gli attentati come un tentativo di scatenare una guerra intermusulmana e fanno appello ai loro seguaci perché non cadano nella trappola evitando reazioni. Per evitare panico, il governo filo-americano di Iyad Allawi sostiene che l’esecuzione di Haifa Street non era diretta alla Commissione elettorale. Saddam Hussein, il grande prigioniero, invece, torna a farsi sentire. L’avvocato che l’ha incontrato giovedì, per la prima volta da un anno, riferisce le sue parole.

«Il presidente Saddam esorta i compatrioti a rimanere uniti contro l’occupazione Usa e a diffidare delle prossime elezioni, vogliono dividere la patria irachena».

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