Da Corriere della Sera del 19/12/2004

Erdogan acclamato conquistatore d’Europa

Istanbul in festa per il premier che promette: «Più diritti umani». Ma c’è chi accusa: «Hai svenduto Cipro»

di Antonio Ferrari

ISTANBUL - Può sembrare francamente eccessivo. Ma quello striscione, «Bentornato, conquistatore dell’Europa», agitato dai fedelissimi che la scorsa notte, sfidando il freddo, hanno atteso all’aeroporto di Istanbul il primo ministro Recep Tayyip Erdogan che rientrava da Bruxelles, rappresenta la sintesi emotiva di un popolo che s’identifica nel suo condottiero. Probabilmente, nella Turchia moderna, dopo il grande Kemal Ataturk, nessuno ha mai raggiunto la popolarità dell’attuale premier. Forse neppure Turgut Ozal, lo statista scelto per traghettare il Paese verso la democrazia dopo l’ultimo colpo di stato militare nel 1980.

Erdogan, nell’immaginario popolare, riassume davvero i caratteri del modello ideale di uomo turco. Un po’ macho e un po’ scaltro, capace di colpi di testa ma anche di correre dei rischi per difendere un’idea, e soprattutto dotato di un naturale carisma. Ieri pomeriggio, con una temperatura che oscillava sotto lo zero, è atterrato ad Ankara, dove un corteo di almeno quattromila vetture (10.000, secondo i dirigenti del partito islamico moderato della Giustizia e dello Sviluppo), l’ha atteso fuori dallo scalo per scortarlo fino alla piazza Kizilay, nel centro della capitale. Là, su un camioncino addobbato a festa, il premier ha parlato ad una folla infreddolita ma entusiasta, mentre il comitato d’accoglienza preparava fuochi d’artificio e petardi, come da noi a Capodanno.

Il premier, seguendo un copione da perfetto tribuno, ha cominciato con un appello ecumenico, sostenendo che «il risultato non è stato ottenuto da un partito o da un uomo, ma dalla volontà dell’intero popolo turco», ma ha subito aggiunto che «noi non siamo gente che parla soltanto, ma che agisce: abbiamo ottenuto in due anni quello che nei precedenti 39 nessuno era riuscito a ottenere». Una roboante dichiarazione di autostima, che ha anticipato i precisi messaggi che aveva in mente: «La stagione dei dubbi è finita, perché la strada ora è aperta»; «Sappiate che il cammino sarà lungo ma che gli ostacoli maggiori sono già stati superati»; «Da oggi in poi la democrazia avrà un significato diverso e i diritti umani dovranno essere rispettati in maniera più significativa»; «L’economia crescerà». Per concludere con un’energica promessa: «Avremo il nostro posto nel mondo civilizzato».

Musica suadente per tutti coloro che si erano lacerati nell’attesa e nel timore di un altro rifiuto. Se oggi, ora, subito si facesse un sondaggio per stabilire qual è il Paese più europeista tra i membri dell’Ue presenti e quelli futuri, la Turchia si troverebbe sicuramente nei primi posti. L’altra sera al Park Orman, ritrovo della società medio-alta di Istanbul, a una ventina di chilometri dal centro, tra balli, panini, insalata, calici di vino e telefonini impazziti (per 24 ore è stato impossibile inviare un sms), si festeggiava in un’atmosfera di entusiasmo contagioso. Gli uomini avevano appiccicato al taschino esterno della giacca l’adesivo blu con le stelle dell’Unione.

I giornali celebrano l’evento con un’enfasi finora sconosciuta. Hurriyet («Ce l’abbiamo fatta»), Milliyet («Anche noi siamo qui»), Zaman («Nuova Europa, nuova Turchia»); Turkish daily news («Storico compromesso»). Il quotidiano Vantan, puntando sugli effetti pratici dell’avvio del lungo cammino verso Bruxelles, avverte i lettori che si dovranno abituare presto alla raccolta differenziata dei rifiuti. L’unica importante eccezione è rappresentata dal Cumhuriyet , il giornale socialista, considerato la coscienza critica della sinistra laica turca. Il titolo è uno schiaffo a Erdogan: «Cipro venduta per una data». Il quotidiano cerca di calamitare gli umori di tutti coloro che si rifiutano di riconoscere i meriti del premier. Ma trascinare l’indubbio successo nazionale ottenuto a Bruxelles nell’arena delle dispute domestiche è, almeno in questo momento, assolutamente perdente. Perché Erdogan, non soltanto ha visto crescere il suo prestigio fra gli elettori del partito che ha la maggioranza assoluta in parlamento, ma ha conquistato il rispetto di numerosi oppositori. Che gli riconoscono capacità di comando e realismo.

Certo, su Cipro, nonostante acrobatici distinguo, un compromesso c’è stato. Come dice Mehmet Ali Birand, editorialista del quotidiano popolare Posta , la Repubblica greco-cipriota «è stata accettata, ma non riconosciuta». Del resto sarebbe stato impossibile chiedere l’ingresso nell’Ue rifiutandone uno dei membri.

Ci saranno dieci mesi, prima dell’inizio dei negoziati di adesione (3 ottobre 2005), per sciogliere il dubbio. Ma ora la Turchia pensa ad altro. Alla festa di Ankara, si sommano quelle di quasi tutte le grandi città del Paese. L’esplosione di gioia collettiva val bene un compromesso. O anche due.

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