Da La Repubblica del 15/12/2004

Il governo di Ankara teme una possibile bocciatura, per le manovre di Francia, Austria e Danimarca

Erdogan: "Potremmo dire no alla Ue"

Il premier turco minaccia: non accetteremo altre condizioni da Bruxelles

Per tutta la stampa turca venerdì è finalmente "il giorno della verità"

di Marco Ansaldo

ERZURUM - Quindici gradi sotto zero e due giorni al 17 dicembre. Il tempo, nell´Anatolia più profonda, sulla gelata Erzurum posta come a un incrocio magico ed equidistante dai confini di Iran, Armenia e Georgia, sembra contare solo in virtù di una data: venerdì 17 dicembre 2004. Il giorno in cui la Turchia otterrà, forse, il sospirato sì all´avvio del negoziato per entrare in Europa. Tutto il resto non conta. L´intero paese, da Istanbul ad Ankara, dal placido Mare di Marmara al burrascoso Mar Nero, dalla Cappadocia alle zone curde prospicienti l´Iraq, trattiene il fiato e guarda con ansia a una decisione storica.

«Il titolo oggi è la Turchia», scrive a caratteri di scatola Sabah. «E´ il giorno della verità», commenta nel suo editoriale Yusuf Kanli, nuovo direttore del Turkish Daily News. Il conto alla rovescia è giunto alla fine, e i giornali turchi, colorati e vivaci, lo scandiscono con enfasi. Pure Erzurum, da secoli rivolta a est con le sue rotte carovaniere, i sentieri del contrabbando, le moschee cristallizzate nel ghiaccio dove potente suona il richiamo del muezzin, guarda oggi a Occidente. In un´atmosfera sospesa che però non sa solo di speranza, ma di paura. La paura di essere respinti.

«Non accetteremo altra prospettiva che quella della membership piena - tuona Erdogan da Ankara - vogliamo dai vertici dell´Unione una decisione chiara, un accesso senza condizioni e un processo negoziale senza possibilità di ripensamenti. Di fronte a condizioni inaccettabili potremmo essere noi a dire no». Il primo ministro turco è al termine di un lungo forcing promozionale che lo ha portato senza sosta da una capitale europea all´altra. A Erzurum la sua voce rimbomba dalla tv nell´ingresso del Salon Asya, una "lokanta" con vista su Cumhuriyet Caddesi, la via principale, dedicata alla Repubblica turca. Gli avventori che cercano di scaldarsi soffocando il freddo in un brodo di pollo, annuiscono. «La Turchia - continua il premier, conservatore di origine islamica e dunque amatissimo qui - con il suo parlamento, il suo governo e le sue istituzioni, ha compiuto tutti i passi per realizzare i criteri di Copenaghen. Non abbiamo lasciato nessun ostacolo sul tavolo. Il resto è alla responsabilità dell´Unione europea».

A far tremare i turchi sono in realtà le infinite riscritture - fino al giorno 17 se ne conteranno dieci - del testo finale che preluderà alla decisione dei leader europei. Le ipotesi che rimbalzano da Bruxelles fin nell´estrema Anatolia fanno sobbalzare i commensali anche al Guzelyurt, «La bella patria», da 70 anni il miglior ristorante della città. «Ora basta prenderci per il naso - perde la pazienza uno dei clienti, incuriosito dalla rara presenza di uno straniero in questa stagione rigida - dopodomani ci dicano chiaramente se ci vogliono, oppure se dobbiamo anche noi mettere fine a questa commedia».

Il progetto dei turco-scettici, ormai svelato, ha un nome: il piano B, e prevede una serie di misure ulteriormente restrittive per Ankara. Manovra guidata soprattutto da Francia, Austria e Danimarca, i capofila della resistenza ai turchi, volta a concedere un accesso di seconda classe a Erdogan, costringendolo così a gettare la spugna.

Un progetto studiato con accortezza. Non paghi delle dure condizioni già poste alla Turchia con la misura capestro della recente clausola di sospensione del negoziato (mai applicata ad altri) i congiurati - che trovano un ampio appoggio trasversale che va dai cristiano democratici tedeschi a persino qualche sporadico deputato italiano della Margherita hanno tentato di mettere a punto nuove regole. Assegnando alla Turchia una «partnership privilegiata» invece della membership a pieno titolo; costringendo Ankara al riconoscimento di Cipro sud; conducendo il negoziato a una «conclusione aperta», passibile dunque di terminare senza l´ingresso turco nella Ue. Non solo. Alcuni settori, in particolare francesi, ventilavano l´ipotesi di un riconoscimento del cosiddetto genocidio armeno. Il tentativo, così palese ed elusivo delle regole, è stato però rintuzzato dai settori favorevoli ai turchi, e in parte stoppato. Al punto che, improvvisamente, i francesi hanno dichiarato che il riconoscimento del problema armeno non è una pre-condizione. E i greco ciprioti negato di aver mai parlato di un veto teso a bloccare la decisione dei Venticinque con un colpo di scena clamoroso.

Ma a Erzurum e in tutta la Turchia la paura di essere fermati sul filo di lana attanaglia la gente. Lungo le strade ghiacciate furoreggia beffarda la vignetta del settimanale Aydinlik, che fotografa in modo sapido e spietato i timori locali di fronte al giudizio pendente: una stanza dove sono sistemati in circolo 25 bei gabinetti, ciascuno con il suo simbolo europeo, e un bagno alla turca dove troneggia la mezzaluna. «Non siamo cittadini di serie B», dicono orgogliosi gli eredi dell´Impero. Ma chi glielo dice che venerdì 17 non è il miglior giorno per cominciare un´avventura?

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