Da La Repubblica del 14/12/2004

Dal Bangladesh all´Etiopia: servono più fondi per adattarci ai mutamenti

Conferenza Onu sul clima protestano i paesi più poveri

L´ex ministro Ronchi attacca: l´Italia aumenta a gran ritmo le emissioni serra

di Antonio Cianciullo

BUENOS AIRES - Il ritmo è accelerato all´improvviso e i corridori stentano a tenere il passo. I segni di uno squilibrio climatico sempre più grave e il sì della Russia che ha fatto diventare operativo il protocollo di Kyoto imporrebbero alla conferenza Onu di Buenos Aires una grande velocità di reazione: bisogna chiudere il bilancio della prima fase di tagli dei gas serra (entro il 2012) e aprire il capitolo 2012 - 2030, il periodo in cui anche i paesi in via di sviluppo dovranno scendere in campo. Ce la faranno i 5 mila delegati a dare una risposta a questa doppia sfida?

La situazione è apparentemente in fase di stallo: gli Stati Uniti hanno ribadito il rifiuto di sottoscrivere impegni internazionali mentre India e Cina ricordano che, in base al conteggio pro capite, le loro emissioni serra sono rispettivamente dieci e venti volte inferiori a quelle degli Usa. E anche tra i paesi che hanno ratificato c´è chi è in difficoltà. L´Italia, secondo la denuncia dell´ex ministro dell´Ambiente Edo Ronchi, continua ad aumentare a ritmo vertiginoso le sue emissioni serra. Nel solo 2003 sono salite del 2,8 per cento portando la crescita al 12 per cento rispetto ai livelli del 1990 che avrebbero invece dovuto essere tagliati del 6,5 per cento.

Tuttavia dietro le quinte si legge un sommovimento degli equilibri politici fino a pochi mesi fa impensabile. La prima scossa è arrivata dai 50 paesi che rientrano nella categoria dei «meno sviluppati», dal Bangladesh al Mozambico, dall´Etiopia al Sudan. Questi paesi hanno già un´economia in ginocchio e con l´accelerazione del cambiamento climatico rischiano di subire il colpo definitivo: vogliono i fondi previsti dal protocollo di Kyoto per l´adattamento al nuovo clima. Una seconda novità viene dall´Opec, il gruppo dei produttori di petrolio finora guidato con pugno di ferro dai paesi arabi. Nigeria, Venezuela e Algeria hanno espresso una posizione autonoma e polemica difendendo Kyoto e i meccanismi commerciali favorevoli al Sud del mondo. Inoltre la richiesta dei paesi Opec di ricevere una compensazione per i minori introiti da vendita di petrolio è stata bollata dagli ambientalisti come un paradosso: «Vogliono soldi per inquinare meno».

E anche nell´epicentro dello scontro in atto, il contrasto Stati Uniti - Cina, si registra qualche segnale di movimento. Harlan Watson, il capo della delegazione americana, pur ribadendo la chiusura su Kyoto, ha ricordato che Washington vuole tagliare del 18 per cento in dieci anni le emissioni di anidride carbonica. Ma, fa notare l´Earth Policy Institute, il taglio si riferisce alla quantità di carbonio emessa per ogni dollaro di Pil: con la crescita economica prevista, le emissioni di gas serra degli Usa cresceranno nel 2020, secondo il piano Bush, del 40 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Anche Pechino fa le sue mosse di apertura nella partita clima. Ad esempio la decisione di presentare la comunicazione nazionale sulle emissioni serra assieme al Brasile suggella un fronte per il negoziato che si avvicina. «Un´azienda cinese ha appena comprato il ramo computer della Ibm: Pechino non può più essere considerata una capitale in via di sviluppo, dopo il 2012 dovrà assumere impegni di riduzione», commenta Aldo Iacomelli, il segretario dell´Ises (International Solar Energy Society). Una possibile via di uscita è stata indicata da Raul Estrada, il capo dei negoziatori argentini: due «seminari di approfondimento» da tenersi il prossimo anno per discutere i meccanismi di controllo dei gas serra nel periodo 2012 - 2030. L´obiettivo è convertire il doppio no di Cina e Stati Uniti in un sì reciproco.

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