Da La Repubblica del 12/12/2004

Il mediatore e Cosa Nostra

di Giuseppe D'Avanzo

SI COMBINANO i soliti slogan liquidatori. Non esiste il reato, il "concorso esterno in associazione mafiosa". Non esistono le prove, se si escludono le intossicazioni dei "pentiti". Come ci può essere responsabilità? Non ha tenuto, quindi, bordone a Cosa Nostra. Marcello Dell´Utri diventa in questo quadro manipolato il martire di un´aggressiva giustizia politica, "segnato" irrimediabilmente da una «fatwa» dei «delatori» di Cosa Nostra (parole della difesa). Nella ricostruzione messa insieme alla svelta fluttuano tempi, luoghi, cose, persone, eventi. Non ci si orienta. Appare incomprensibile una condanna così grave - nove anni - a petto di niente, a petto di un vuoto. Al più, sembrano dire gli ufficiali liquidatori, l´artefice di Publitalia ha patito qualche contatto infelice, come capita a chiunque sia nato o vissuto in Sicilia. Non è così.

Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa esiste, e sorprende che se ne meraviglino legislatori e uomini di governo. È un reato che per anni ha provocato - è vero - contrasti accademici e controversie giurisprudenziali e proprio a Palermo - va detto - è stato maneggiato con qualche disinvoltura da pubblici ministeri e tribunali per la sofferenza di imputati risultati poi innocenti. Fino a che, nell´aprile del 2003, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, quindi al massimo della sua autorevolezza, ne ha messo a punto i principi. Leggiamo. «In tema di associazione di tipo mafioso è configurabile il concorso "esterno" nel reato per la persona che fornisce un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario». Non importa, dicono i giudici, che il contributo sia «occasionale o continuativo». Quel che conta, sostengono, è che sia «rilevante ai fini della conservazione e del rafforzamento dell´associazione».

Ecco, dunque, che cosa il processo doveva dimostrare o negare. Marcello Dell´Utri ha offerto un sostegno «concreto, specifico, consapevole e volontario» per difendere e accrescere il potere e le fortune di Cosa Nostra siciliana?

I giudici devono essersene convinti. In attesa della motivazione della sentenza, è ragionevole pensare che abbiano ritenuto fondata la ricostruzione dell´accusa. Vediamola. Dell´Utri è stato l´«intermediario» fra Cosa Nostra e il gruppo di Silvio Berlusconi. Ha svolto un lavoro di «ausilio, sostegno e rappresentanza degli interessi di Cosa Nostra». Ha mediato e risolto, di volta in volta, i non pochi conflitti nati tra le ambizioni di Palermo e la disponibilità di Milano. Anzi, proprio il suo ruolo di «artefice delle soluzioni» gli ha permesso di occupare un ruolo decisivo alla destra del Capo. Non si comprende il ruolo di Dell´Utri se non si crea una correlazione tra le pressioni scaricate dai mafiosi su Berlusconi e le mediazioni e gli incontri organizzati da Dell´Utri.

Il patron di Fininvest, negli anni Settanta, è minacciato di sequestro (si tenta di rapire a mo´ di dimostrazione un suo ospite). Gli piazzano una bomba in via Rovani nel 1975 e ancora nel 1986. Negli anni Novanta tocca alla Standa subire in Sicilia, a Catania, un rosario di attentati e, nel 1993, per un soffio si salva la vita Maurizio Costanzo, influente consigliere di Berlusconi, contrario alla "discesa in campo" del patron della Fininvest. Allo sbarco in politica Cosa Nostra era «favorevolmente interessata». Ora alla sequela di pressioni, minacce, intimidazioni bisogna sovrapporre, per valutarne il ruolo, il lavorìo d´ambasciatore di Dell´Utri. Organizza l´incontro tra Berlusconi e i "mammasantissima" Stefano Bontade e Mimmo Teresi per "rassicurarlo" dal pericolo dei sequestri. Fa assumere Vittorio Mangano ad Arcore, come stalliere, per cementare «un accordo di convivenza con Cosa Nostra». Cerca di capire che cosa accade e che cosa si nasconde dietro l´attentato a via Rovani. Incontra, nel 1990, i capimafia catanesi e, soprattutto, Nitto Santapaola, della combriccola il più pericoloso e potente, per risolvere i problemi degli attentati alla Standa. Dopo quell´incontro, non ci saranno più bombe. È ancora Dell´Utri «il protagonista di una trattativa politica del ´93-´94 con Cosa Nostra». «Fatti obiettivi e concreti e fatti provati», dicono in aula i pubblici ministeri, «provati non da chiacchiere, ma da testimonianze precise, talvolta di testimoni oculari, e da intercettazioni telefoniche, risultanze obiettive, persino documentali, fotografiche, filmate. Fatti, non teoremi né tesi precostituite, soltanto una precisa contestazione di fatti storici». Il quadro probatorio avrebbe potuto essere addirittura più dettagliato e significativo se Silvio Berlusconi («vittima di quelle minacce, di quelle intimidazioni, di quelle pressioni») avesse offerto il suo contributo all´accertamento della verità e non si fosse avvalso, al contrario, della facoltà di non rispondere. In aula, durante la requisitoria, il pubblico ministero Antonio Ingroia esprime il suo «rammarico istituzionale» per questa rinuncia. «Ci attendevamo che il presidente Berlusconi desse il suo contributo di verità per chiarire alcuni "buchi neri", ad esempio, sull´assunzione e l´allontanamento di Vittorio Mangano da Arcore, sui rapporti con Dell´Utri, su certi anomali movimenti di denaro nella casse della holding del gruppo Fininvest?».

Eccentrica o ipocrita la pretesa del pubblico ministero. Se la ricostruzione del ruolo di Dell´Utri ha un fondamento (siamo soltanto al primo grado di giudizio), Berlusconi è consapevole - non fosse altro per lo stato di tensione che è costretto a subire nel corso degli anni - della pericolosità del suo collaboratore. Denunciarlo significa denunciarsi. Denunciare di averlo subìto e di aver subìto, con la sua presenza, l´attenzione e l´interesse della Cosa Nostra siciliana delle Famiglie di Palermo, prima; dei Corleonesi, dopo. Anche la più vaga delle ammissioni avrebbe confermato al tribunale quella sorta di "assicurazione" con la mafia che Berlusconi ha siglato ingaggiando e promuovendo il suo ex-segretario personale e compagno di studi. Non c´è dubbio che Berlusconi ne paga oggi un imbarazzante prezzo, non giudiziario, ma d´immagine. Se si assemblano le tessere raccolte in questi anni emerge che il patron della Fininvest ha pagato un giudice di Roma (prescritto); ha comprato la sentenza che gli ha portato in dote la Mondadori (prescritto); ha finanziato illecitamente il Psi di Bettino Craxi (prescritto); ha falsificato per 1.500 miliardi i bilanci della Fininvest (prescritto); ha manipolato i bilanci sui diritti-tv tra il 1988 e il 1992 (prescritto); ha trafficato con le assicurazioni di giocatori del Milan (prescritto). Già potrebbe bastare e invece, alla sua sinistra, appare un avvocato (Previti) condannato a 16 anni per corruzione dei giudici e alla sua destra un uomo (Dell´Utri) a disposizione degli interessi mafiosi. Non è un bello spettacolo, e si comprende perché Silvio Berlusconi sia in queste ore, come dicono, «avvilito».

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