Da Corriere della Sera del 04/12/2004

«Iracheni, preparatevi: il voto vale più dell’oro»

Al via nel Sud la macchina elettorale. E gli imam tengono corsi: «Astenersi è peccato mortale»

di Andrea Nicastro

NASSIRIYA - Se in Iraq a gennaio ci saranno davvero le elezioni, il fruttivendolo Ahmed abu Alì, del bazar di Nassiriya, voterà. Come tutti quelli che conosce, del resto. «Nessuno vuole finire all'inferno. E il grande ayatollah Alì Al Sistani ha detto che chi non partecipa alle elezioni commette peccato mortale».

Ahmed è un po’ sorpreso nel vedere dopo tanto tempo uno straniero al mercato e indica, tutto allegro, una cassetta di kiwi sul banco. «Italiani, come te». Le banane che ha in vendita, invece, vengono dall'Ecuador, le mele dall'Iran, le arance dalla Siria, i pomodori da «qualche Paese dell'Africa». Nel Sud dell'Iraq il commercio ha ripreso a muoversi.

Le raffiche di kalashnikov sono, per il momento, uscite dalla colonna sonora quotidiana. La disoccupazione resta una piaga, la criminalità pure, ma da quando in agosto i miliziani del giovane integralista Muqtada Al Sadr hanno smesso di dare problemi, le regioni sciite vivono tranquille. E si preparano ad andare alle urne.

La macchina elettorale è in movimento. I soldi (europei e, soprattutto, americani) non mancano. La volontà, neppure. Ma il voto è un ufo per l'Iraq. Secondo gli ultimi accordi tutto dovrà essere pronto per il 30 gennaio. Il governo ha ordinato una sorta di «Pubblicità Progresso» alla televisione: «Registratevi, il voto vale più dell'oro per il vostro futuro». Nei villaggi dove la tv non arriva, si tengono assemblee di piazza. Il maestro, il sindaco e il capo della polizia fanno da «educatori civici» e spiegano come (e forse anche chi) votare. Potere civile e potere religioso sono in competizione. Anche le moschee tengono corsi elettorali e raccolgono le tessere annonarie (che in assenza di un'anagrafe sono usate per identificare gli aventi diritto) per iscrivere l'intera comunità dei fedeli alle liste elettorali.

«Ai tempi di Saddam - racconta all'ospedale di Nassiriya il dottor Alì Al Jabbar - passava l'esercito a metterci in fila per votare sì o no al presidente. Ma era una sceneggiata ad uso delle telecamere. A me è capitato di arrivare al seggio e non trovare la scheda. E so di qualcuno che, per sfregio, votò no, ma nella conta il suo voto non è mai esistito».

Con un analfabeta ogni cinque, le operazioni di registrazione e voto non sono semplici. Sui marciapiedi davanti ai centri di registrazione siedono gli scriba che, per qualche centesimo di euro, correggono nomi e date dei certificati per conto degli elettori analfabeti. Il responsabile della Commissione elettorale di Nassiriya è tra i protagonisti della corsa contro il tempo. Aqil Aziz Udah, ha poco più di 30 anni, ma è già avvocato e professore all'università locale. E' il terzo responsabile della Commissione in meno di due mesi. I suoi predecessori sono stati epurati mentre ora Aqil Aziz sembra offrire garanzie sia al governo di Bagdad sia ai notabili della provincia. «Stiamo compilando le liste elettorali. Il 30 gennaio basterà un documento di identità e il nome sulla lista per avere la scheda. Poi (come in Afghanistan, ndr) l'elettore intingerà un dito nell'inchiostro e via». La democrazia è servita.

Più pessimista un ex funzionario della dissolta Cpa, l'amministrazione provvisoria della coalizione, che vuole rimanere anonimo. «Mi sembra probabile che le cose vadano come alle comunali dei mesi scorsi. Chi non sa scrivere si affida all'imam del villaggio o allo sceicco della tribù. Li ho visti dire davanti a tutti: "Bravo, sei venuto a votare? Dammi qua". E compilare la scheda senza neppure fingere di chiedere il parere dell'elettore».

«Sì, sento parlare di brogli, di compravendita di tessere annonarie, di doppi voti - dice il consigliere politico del contingente italiano, l'avvocato riservista Giovanni Parigi - ma credo sarà un fenomeno marginale rispetto al peso che il controllo sociale avrà sul risultato».

La campagna elettorale vera e propria dovrebbe cominciare fra una dozzina di giorni (15 dicembre). Le zone sciite, da Bagdad a Bassora, sono tappezzate da manifesti con le candide barbe degli ayatollah. Non sono loro i candidati. Semplicemente chiedono ai fedeli di essere pronti a cogliere l'occasione storica.

«Siamo capaci di organizzare una cosa complicata come il pellegrinaggio a Najaf, figuriamoci se ci spaventiamo per delle elezioni», ha detto lo sceicco ed ayatollah Muhammed Al Yaqubi, membro dell'Hawza, il consiglio che gestisce i luoghi santi iracheni.

Molto diversa la situazione a nord dell'Iraq, specialmente nelle tre province che compongono il Triangolo sunnita. Lì la tentazione più forte è l'astensionismo. Saleh Obaidi di mestiere distribuisce farina, olio e fagioli gratuiti in un quartiere sunnita di Bagdad. E' uno dei 45 mila agenti del programma Onu «Oil for food» (petrolio in cambio di cibo) utilizzati dal governo ad interim per registrare gli aventi diritto con i dati delle tessere annonarie.

Davanti all'inviato del Chicago Tribune , Saleh ha sventolato un pacco di moduli. Tutti bianchi. «Questi sono inutili qui. Nessuno andrà a votare e nessuno si registra». Stesse scene a Mosul, Ramadi, Tikrit, città sunnite. Per non parlare dell'intera provincia di Falluja, dove i centri di distribuzione delle razioni alimentari Onu non hanno ancora riaperto dopo l'offensiva di novembre.

Gli sciiti sono, secondo alcune stime, il 60% della popolazione e, se riuscissero a polarizzare il voto lungo logiche religiose, avrebbero la maggioranza assoluta. Se poi i sunniti scegliessero l'astensionismo, la loro maggioranza arriverebbe al 75%. Con il rimanente 20% destinato al cartello dei due partiti curdi. E’ un'appuntamento che l'ayatollah Alì Al Sistani non vuole lasciarsi sfuggire. Suoi emissari stanno tentando l'impresa di formare un ombrello di partiti sciiti di ispirazione religiosa, fino a ieri pronti, letteralmente, a spararsi tra loro.

Altri partiti sciiti correrebbero per i voti laici. Due sembrano in vantaggio: il movimento dell'ex pupillo di Washington Ahmed Chalabi e quello del premier Iyad Allawi. Il primo pare in grado di pescare tra gli emigrati che voteranno all'estero: secondo alcune stime, un bacino di due su 13 milioni di voti. Il secondo potrebbe addirittura conservare il posto di primo ministro. Il segreto starebbe nella sistematica occupazione delle poltrone che contano.

Sindaco, governatore e commissario, sono ancora oggi in grado di influenzare un elettorato abituato agli ordini di scuderia. Una lezione imparata da Saddam che vale anche per il nuovo Iraq.

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