Da Corriere della Sera del 04/12/2004
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2004/12_Dicembre/04/di-vic...

Indagine Censis, la paura del futuro

Le due medicine

di Dario Di Vico

È ormai all’incirca un anno che si discute di impoverimento dei ceti medi. La riflessione ha riguardato non solo il mondo politico ma ha investito il ruolo di quanti, come l’Istat o i giornali, hanno il compito di certificare i cambiamenti o di informare l’opinione pubblica. Non è mancato anche qualche ingenuo tentativo di forzatura politica, quasi fosse possibile riciclare consolidate tradizioni sotto la nuova forma del «partito della quarta settimana». Il contributo forse più completo è venuto dall’indagine biennale che Banca d’Italia dedica ai bilanci delle famiglie italiane.

Ricerca che se da una parte ha escluso l'incremento dell'area della povertà ha anche detto a chiare lettere come la grande partita della distribuzione del reddito abbia penalizzato il lavoro dipendente e le famiglie operaie. Ieri il Censis nella sua annuale radiografia della società italiana è tornato sull'argomento e Giuseppe De Rita ci ha consegnato due avvertenze: a) la paura di impoverire è più forte dell'impoverimento reale; b) c'è un consistente aumento degli investimenti immobiliari delle famiglie e un buon incremento di quelli mobiliari. Dunque attenzione a fare dell'allarmismo, l'inflazione viaggia ormai stabilmente sotto la quota del 2% e questa performance ci colloca tra i virtuosi d'Europa. Lo shock da euro legato a un cambio della moneta gestito senza un adeguato livello di informazione e controllo ormai sembra riassorbito (grazie anche al sommerso) e la striscia dell'aumento dei prezzi si è fermata. Ci sono, dunque, tutte le condizioni per sanare la ferita e far ripartire i consumi.

Ma così non è. Il Natale che ci aspetta si segnala come uno dei più parchi degli ultimi anni e i commercianti sono legittimamente preoccupati di ritrovarsi all'Epifania con vetrine e scaffali ancora pieni. Imprese e famiglie rinviano le decisioni sull'acquisto di beni durevoli e anche i consumi leggeri sono segnalati in ristagno. Basta dare un'occhiata agli annunci pubblicitari per rendersi conto di come la comunicazione verta quasi sempre sull'annuncio di sconto. Di fronte a questa contraddizione diversi osservatori se la prendono con la maledetta «percezione», quella pazza idea di esser più fragili che si è impadronita degli italiani. Ma da sempre - lo ricordano anche i classici - i mercati di un'economia capitalistica si fondano su percorsi di suggestione collettiva. Pertanto conoscere e studiare lo stato d'animo d'un Paese serve ad allargare il perimetro delle democrazie post-moderne e può fornire ai decisori un importante test dei loro interventi. In società così altamente esposte ai media fare i conti con la percezione popolare sarà dunque una regola non un'eccezione. Occorrerà quindi chiedersi perché a onta delle statistiche ufficiali il sentimento del Paese resti negativo o per dirla con De Rita «la società abbia silenziosamente scelto di assestarsi sul suo ieri e sul suo altroieri». Interrompendo quel processo di modernizzazione che a tratti ci ha fatto sentire più europei che italiani. Sommando, infatti, tutti gli spunti che il Censis come ogni anno ci regala è questa la sintesi: la modernizzazione italiana si è interrotta e le culture che pure l'avevano sospinta oggi balbettano. Sarà colpa del lungo ciclo di mancata crescita come sostengono in tanti o la politica (d'ogni colore) ha commesso troppi errori e sprecato occasioni d'oro? Di sicuro in questi ultimi anni valori mobilitanti, come il merito o il rischio, si sono pesantemente svalutati e anche questo ha concorso al nostro impoverimento. Bisognerà ripartire da lì, rimettere in circolazione quelle parole d'ordine. Anche perché nessuno può pensare che ci sia spazio per un nuovo e generoso welfare riparatorio. Funziona per casi e settori marginali, non quando è colpito il grosso del ceto medio.

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