Da Corriere della Sera del 02/12/2004

«Carta Ue, sì dei socialisti francesi»

Referendum tra gli iscritti, conteggio nella notte. Hollande: i favorevoli in netto vantaggio

di Massimo Nava

PARIGI - Il tam tam fra i militanti e i sorrisi smaglianti davanti alla sede di rue Solferino dicono che il partito socialista francese ha detto si all'Europa, in questo referendum interno sulla Costituzione che è stato paragonato alle matrioska, le bambole russe, con all'interno della più piccola la decisione di 120 mila iscritti al partito che potrebbe condizionare le scelte di 58 milioni di francesi e il destino della bambola più grande, il Continente. E' si, con un margine ampio - stando alle prime dichiarazioni di alcuni leader - da scongiurare effetti sull’atteggiamento europeista dei francesi e temute fratture nel partito. «Si profila una chiara vittoria del sì», ha detto il segretario Hollande. «E' una vittoria dell’Europa e del partito, che non compromette l'unità dei socialisti», ha detto Jack Lang davanti alla direzione. «E' anche una lezione di democrazia», gongola François Rebssamen, uno dei fedelissimi di Hollande. «E' una vittoria per le prossime generazioni. Una prova di maturità e democrazia», esclama Segolene Royal, first lady del partito. «Vittoria netta», ammette Jean Luc Melanchon, ma non credo che appoggeremo la campagna per la Costituzione.

Eppure, sembravano due i partiti, due le anime che si sono misurate in una battaglia, senza esclusione di colpi, comprese polemiche e accuse di irregolarità. Un referendum che non risolve del tutto la crisi d'identità e l'eterno bivio della gauche fra riformismo e massimalismo, anche se rafforza l'attuale segreteria e mette Hollande in pole position per guidare la gauche nella corsa all’Eliseo. L'esito finale, oggi, indicherà la percentuale dei due schieramenti e quindi l'ampiezza della frattura interna.

Davanti alle sezioni, il sì e il no hanno avuto significati ambivalenti e stravolti dalla passione politica e dalla sociologia degli iscritti.

Per Dominique Villemont, militante del secondo arrondissement di Parigi, il suo è un «sì di sinistra». Per Patrick Jaquet, iscritto nell'Essone, «è un sì per l'avvenire».

Dominique Bertinotti, omonimo, ma riformista sindaco del quarto arrondissement, è «sì due volte, per il socialismo e per l'Europa». Ma Vincent Peillon ha espresso un «no della speranza», come una trentina di consiglieri regionali che hanno pubblicato un manifesto sul sito Nonsocialiste.net. Molti militanti per il sì ripetevano gli slogan dei leader, per i quali, un «no» è un regalo a Bush e a Sarkozy. Ma il disagio era palpabile nella base popolare del partito : «Dobbiamo recuperare il consenso sociale, quindi no a questa Europa», dice Nadine, impiegata.

Heloise Newton, 28 anni, iscritta della Javel-Grenelle, sezione a maggioranza per il no, racconta: «La vittoria del sì darà legittimità ad una posizione ufficiale. Il partito resta diviso». In rue Cambodge, un bastione del no, Jean Michel Rosenfeld, vice sindaco del quartiere, dice: «Il partito socialista festeggia l'anno prossimo il centenario, speriamo che sia la vittoria di un partito europeo». Jean Jacques, 49 anni, impiegato alle Ferrovie, simboleggia il no di impiegati pubblici, una larga fetta dell'elettorato socialista, che teme gli effetti dell'Europa sullo «Stato provvidenza». Marie, 29 anni, funzionaria : «La Costituzione smonta il servizio pubblico». Julien: «Saremo i primi a dare un esempio in Europa e a riaprire un vero dibattito».

La disparità di tendenze attraversa le diverse sezioni della capitale, a seconda che il quartiere sia periferico o borghese. In base a stime sull'unico precedente, la votazione sulle liste per il congresso del 2003, il «no» nella capitale e nella solida regione del Rodano non supererebbe il 30 per cento. Le ragioni del sì prevalgono anche nelle regioni operaie, in particolare nel Pas-de-Calais, la più depressa della Francia e la più numerosa di iscritti, il 10 per cento. Al di là delle divisioni sociologiche e territoriali, contano anche le basi di consenso dei diversi leader del partito.

Per Laurent Fabius, che ha promosso la sfida, la delusione è cocente. Lui è davvero fuori gioco.

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