Da Corriere della Sera del 02/12/2004

Diritto d’autore e libertà

La proprieta’ caduta nella Rete

di Guido Rossi

Uno spettro si aggira per l’Europa e, ancor più, per gli Stati Uniti: non è il fantasma del comunismo come immaginava due secoli fa Carlo Marx, ma quello della techne , che sta minando il diritto di proprietà, architrave giuridico del capitalismo, ben più di quanto non sia stata in grado di fare, nel Novecento, la rivoluzione dei soviet. Il diritto di proprietà, come tutti i diritti, varia nel tempo e nello spazio: è un diritto storico, dunque non eterno, e relativo, ovvero non sempre universalmente riconosciuto nelle sue proposizioni. In generale, tra i fattori che determinano il cambiamento del contenuto e della protezione sanciti dal diritto, un ruolo particolare spetta alla scienza e alla tecnica. Dalla fine del Settecento, in particolare, la tutela della proprietà intellettuale, attraverso il copyright e il brevetto, è diventata via via un cardine del diritto di proprietà. E lo è tanto più oggi nell’attuale società dell’informazione. Ma proprio la società dell’informazione sta generando la tecnologia che, per la prima volta, mina in radice questo diritto fondamentale.

Grazie a Internet, e senza pagare alcunché, ciascuno può disporre di una massa di informazioni tale da assicurare, in prospettiva, un’uguaglianza dei punti di partenza come mai si è avuta nella storia dell’umanità. E fin d’ora ciascuno può riprendere, riprodurre o trasformare tutto quello che passa nella rete.

Questa opportunità, offerta dalla tecnologia, esalta la contraddizione contenuta nell’articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo . Il primo comma di tale articolo, infatti, prevede che tutte le persone abbiano il diritto di prendere parte alla vita culturale delle comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai fatti positivi che ne derivano. Il secondo comma, invece, sancisce il diritto di ciascuno alla protezione degli interessi materiali e morali che derivano dalla produzione letteraria, scientifica o artistica di cui è l’autore. Questo articolo è stato ripreso all’articolo 15 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali , del 1966. Diritto alla cultura e diritto d’autore hanno entrambi forti e comprensibili ragioni. Il punto è sempre stato quello di stabilire i limiti della protezione della proprietà intellettuale nel rispetto dei diritti di proprietà e di quelli di libertà. Con Internet l’esercizio diventa sempre più difficile.

In effetti, tecnologia e proprietà hanno avuto molti contrasti. E la tecnologia ha già determinato l’aggiornamento del diritto. Nel 1903, un allevatore di polli del Nord Carolina, tale Causby, fece causa al governo degli Stati Uniti perché gli aerei militari, che atterravano vicino al suo podere, spaventavano con il loro rumore i pennuti, i quali fuggivano dalle loro postazioni e, non potendo più mangiare, morivano. L’allevatore citò a suo favore la common law e il diritto romano, in base al quale la sua proprietà si estendeva usque ad infera , fino al centro della terra, e usque ad sidera , fino alle stelle. Dunque, gli aerei militari invadevano casa sua. La Corte Suprema gli diede torto per una ragione non di diritto ma di buon senso: nell’antica Roma non esistevano gli aerei, e così nessuno aveva interesse a limitare il diritto di proprietà verso l’alto, fino alle stelle. Con l’aeronautica, invece, i cieli diventano un’autostrada pubblica. Un secolo dopo, Lawrence Lessig manda in rete un libro, Free Culture , liberamente stampabile da Internet, nel quale affronta la ricerca dell’equilibrio possibile tra la protezione della proprietà intellettuale e il diritto alla libertà che sfuma in quello alla pirateria.

La proprietà intellettuale ha origini relativamente recenti. Il primo artista che firma una sua opera è lo scultore Benedetto Antelami, che nel mese secondo del 1178 incide il suo nome sulla Deposizione del Duomo di Parma. Il primo copyright lo concede la Repubblica di Venezia allo stampatore delle Storie di Plinio il Vecchio. In seguito il privilegio di Venezia si estende all’autore. Alla base c’è il principio che dove esiste un valore, allora deve esserci anche un diritto. E così, in epoca più tarda, nasce il brevetto a tutela delle invenzioni, soprattutto quelle a uso industriale. Diritto d’autore e brevetto costituiscono dei monopoli, temporanei o eterni a seconda dei casi e delle legislazioni, che consentono all’autore e all’impresa di finanziare l’opera dell’ingegno e la ricerca scientifica e tecnologica. Lessig osserva che nel mondo contemporaneo l’oggetto della protezione cambia: non più soltanto la creatività e la pubblicazione delle opere d’arte cartacee, ma anche la trasformazione o la diversa applicazione in altri settori. È tutelata, infatti, la possibilità di ricavare un film da un romanzo, di trasmettere il film per televisione, di mandare in radio brani di opere musicali o letterarie: è questa una protezione della trasformazione. Secondo Lessig, questo salto di qualità cambia completamente prospettiva al diritto fondamentale della proprietà intellettuale, e questo da diritto individuale, personale, diventa diritto dell’industria culturale.

L’industria culturale ha sempre avuto un rapporto ambiguo e fecondo con la pirateria. Hollywood nasce perché l’industria cinematografica americana fugge in California, dove non valeva il brevetto di Edison sul procedimento cinematografico registrato per lo Stato di New York. La storia del cinema comincia con un atto di pirateria. Oggi l’esempio classico di pirateria è la masterizzazione dei Cd musicali attraverso Internet, un fenomeno di massa che suscita una sottile questione giuridica ed economica: se la pirateria, che possiamo assimilare al furto, debba essere valutata diversamente a seconda che il bene sia materiale o immateriale. Se rubo venti Cd dagli scaffali di un negozio, quegli stessi esemplari non potranno più essere venduti; se invece masterizzo venti Cd scaricandoli dalla rete, i venti che stavano sullo scaffale possono ancora essere venduti. La pirateria materiale riduce il mercato, quella immateriale lo potrebbe addirittura allargare.

Questa è, per esempio, la convinzione di Bill Gates, che non ha chiesto al governo americano di intervenire contro i cinesi quando questi hanno cominciato a pirateggiare Windows. Il mercato cinese è enorme: se sviluppa pirateria su Windows, vuol dire che, con il tempo, dipenderà da Microsoft e non dal concorrente Linux. Il lassismo interessato di Bill Gates suggerisce una nuova architettura del diritto. Per analoghe ragioni di marketing , Yahoo e Google hanno accettato le restrizioni censorie del governo cinese, nonostante la Camera dei rappresentanti americana abbia votato nel 2003 il Global Internet Freedom Act, che dichiara la libertà di accesso alla rete per tutti i popoli.

Questa disponibilità a venire a patti con la pirateria nel campo del copyright e ad accettare limiti al diritto di accesso alla rete nell’altro campo del diritto alla cultura dimostra ancora una volta il carattere storico e relativo del diritto. E ci avverte che stiamo rischiando una frantumazione delle norme, alla quale il legislatore reagisce arroccando. L’esempio più chiaro è il Sonny Bono Act del 1998, che eleva a 95 anni il copyright per tutti i settori dell’attività culturale. E pensare che nel 1709, quando per la prima volta si fissò in Inghilterra un termine temporale al diritto d’autore, la legge della regina Anna stabilì in 14 anni la durata per i libri di nuova pubblicazione e in 21 anni quella per i volumi già stampati. Il professor Lessig, uno dei massimo esperti di cyberlaw , ha sostenuto davanti alla Corte Suprema la tesi che, con il Sonny Bono Act, il diritto d’autore diventava di nuovo perpetuo, e ciò in contrasto con il primo emendamento della Costituzione americana, che tutela la libera opinione e la creatività, dunque propende per la rottura dei monopoli. Ma la Suprema Corte, questa volta, non si è comportata come nel 1903 e ha dato torto al riformista. Lessig ha tuttavia fondato un sito Internet al quale qualsiasi autore può mandare un libro, che sarà poi distribuito gratuitamente. Nessuno gliel’ha impedito, e lui si dice convinto che questo farà bene anche all’editoria, se è vero quel che gli ha confidato l’editore di Grisham, che ha venduto ancora di più grazie al traino della distribuzione parallela, o pirata, su Internet.

Un analogo contrasto tra protezione della proprietà intellettuale dell’impresa e altri ancor più rilevanti diritti emerge in modo drammatico nel caso delle importazioni parallele dei farmaci anti-Aids in Africa. Nessuno o quasi al di sotto del Sahara può permettersi cocktail di medicinali, protetti da brevetti ventennali, che costano 25-30 mila dollari l’anno. Lessig non contesta la legittimità del monopolio temporaneo delle case farmaceutiche allo scopo di sostenere la ricerca, ma concentra la sua attenzione sulle importazioni parallele: alcuni paesi meno poveri di quelli africani potevano avere, pagandole, le licenze dalle case farmaceutiche americane, per produrre poi i medicinali a minori costi, in modo da poterli vendere in Africa a prezzi inferiori. Big Pharma , il complesso delle maggiori industrie farmaceutiche, ha convinto il governo americano a interrompere questa soluzione, commettendo, a giudizio di Lessig, un errore gravissimo: ciò che veniva trasmesso in India non era la conoscenza del brevetto, ma l’informazione su come produrre medicine per il Sudafrica. In questo caso il diritto di proprietà è stato considerato più importante del diritto alla vita di milioni di persone.

La tutela della proprietà intellettuale, attraverso copyright e brevetti, oscilla dunque tra concessioni al marketing , cedimenti alla tecnologia e tentativi di chiusura legislativa in aperto contrasto con la tendenza di fondo della società dell’informazione, che o è libera o, alla lunga, non è. Il diritto ne esce frantumato. Ricomporlo senza fermare la macchina del progresso è la scommessa delle nuove generazioni. Gli esiti nella redistribuzione del potere potrebbero esser imprevedibili. Negli Stati Uniti se ne sono già accorti. Tanto è vero che l’approccio liberal alla cyberlaw , di cui Lessig è l’alfiere, viene oggi definito Marxism-Lessigism.

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