Da Corriere della Sera del 22/11/2004

La promessa di Bagdad: al voto il 30 gennaio

Le prime elezioni libere per il Parlamento nazionale dopo 46 anni. Ma la guerriglia non dà tregua

di Francesco Battistini

SHARM EL-SHEIKH (Egitto) - Lo dicono da Bagdad perché a Sharm intendano: il 30 gennaio in Iraq si vota. I morti quotidiani di Ramadi o i trenta cadaveri scoperti a Latifiyah, le sparatorie per l'aeroporto di Bagdad e le battaglie intorno alla Green Zone non stropicciano la fiducia nel futuro e la kefiah rossa del signor Abdel Hussein al-Hindawi, presidente della commissione elettorale, quando dalla capitale irachena si presenta in diretta tv e spiega che «la data è stata scelta all'unanimità». I sunniti, il mondo arabo, un po’ d'Europa chiedevano che il voto venisse rinviato: chi perché lo considera la consacrazione del «governo fantoccio americano» di Iyad Allawi, chi perché ritiene assurdo garantire il diritto alla democrazia in un Paese dove manca quello alla vita. Hindawi e i suoi hanno valutato le obiezioni, vagliato le candidature, deciso il da farsi. Un rinvio alla fine l'hanno concesso: niente 27 gennaio, solo tre giorni. E i 47 partiti che hanno annunciato il boicottaggio? «Vi assicuro che tutti i grandi partiti si presenteranno». E il rischio di frodi? «Speriamo che l'Onu invii osservatori». E le minacce, le stragi? «Non ci saranno armi nei seggi. E ogni elettore potrà scegliere in libertà».

L'unica cosa vera è che, se ci saranno, saranno elezioni abbastanza libere. Le prime da 46 anni. Un annuncio a sorpresa, dopo che 14 gruppi s'erano riuniti venerdì in Kurdistan per esigere «un rinvio a tempi indefiniti». Un annuncio a effetto da spedire alla Conferenza internazionale di Sharm el-Sheikh, nell'ora in cui arrivano le prime delegazioni. E dove subito ci si posiziona: «Come si fa ad andare al voto, se continua questa situazione di violenza? Speriamo in un cessate il fuoco, altrimenti sarà molto difficile» (Amr Moussa, segretario della Lega araba); «l'Europa è pronta a sostenere lo svolgimento delle elezioni, senza rinvio. Abbiamo già dato tre milioni di euro per la preparazione, ne arriveranno altri 520 per rifare gli uffici pubblici» (Benita Ferrero-Waldner, nuova «ministra» degli Esteri Ue). Anche i violenti Fratelli musulmani egiziani, truci, minacciano: «Le elezioni, come la Conferenza di Sharm, danno legittimità all'occupazione americana. Non si tiene conto della vera resistenza. Arriveranno catastrofi e tragedie».

Qualcuno esulta: «Votare è importantissimo e farlo nei tempi stabiliti lo è ancora di più, per avere sicurezza», dice un deputato sciita di Bagdad, Salama al-Khafaj. L' entourage di Allawi snocciola cifre normali, neanche parlasse d'un normale appuntamento con la democrazia: 44 candidature individuali e 126 liste già ammesse, su 198 presentate; domani scade il termine per correre nelle province, il 30 quello per Bagdad; il 15 dicembre comincerà la campagna elettorale e si chiuderà 48 ore prima del voto; alle donne è riservata per legge la quota d'un quarto degli eletti; gli sciiti, il 60 per cento degli iracheni, sono in parte per le urne e lo stesso i curdi, chiamati a eleggere consigli separati fra i 275 deputati disponibili... Il Parlamento e il governo saranno transitori, fino al 31 dicembre 2005, quando un’altra elezione dovrebbe mettere le basi d'un apparato «finalmente stabile». Chi correrà? Allawi, Chalabi, Sistani, Pachaci, Moqtada al Sadr, le carte si scopriranno fra poco.

Fin qui l'Iraq che si disegna a Sharm el-Sheikh. Perché l'Iraq che si vive in Iraq è tutta un’altra faccenda e s’è visto anche ieri. «Voteranno anche in zone violente come Falluja e Mosul», promette Farid Ayar, portavoce del comitato elettorale.

Falluja, dicono alcuni testimoni cinesi che ci sono stati, è al 60 per cento ancora in mano alla guerriglia. Mentre a Mosul, la terza città del Paese, non si contano le imboscate e altri tre cadaveri spuntano dagli angoli delle strade. Per ogni piccola, buona notizia data ma non confermata, come la liberazione dopo 11 giorni del cugino settantacinquenne di Allawi, c'è il bollettino delle carneficine di giornata: Zarkawi, braccato e mai preso, rivendica via web il massacro di 17 guardie irachene, poche ore dopo la scoperta d’altri poliziotti uccisi a Ramadi e i sette ammazzati dagli americani a un check-point mentre viaggiavano su un autobus... Haswa, Latifiyah, Mahmudiya sono fuori controllo e anche dall'ambasciata americana a Bagdad una fonte ammette: «La situazione è notevolmente peggiorata».

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