Da Corriere della Sera del 22/11/2004

Così la sfida sul fisco sfiora le regole Ue

di Massimo Franco

La tentazione sta diventando vistosa: nelle file del partito di Silvio Berlusconi monta la voglia di smarcarsi dai parametri del patto di Maastricht pur di tagliare le tasse. I vincoli imposti dall’Europa sarebbero diventati poco più di «un alibi» usato da chi non vuole la riforma fiscale. A guidare il fronte dell’«euroinsofferenza» sono il presidente del Senato, Marcello Pera, e il leader leghista Umberto Bossi. Il primo, parlando ad una manifestazione di FI, ha detto che «questi vincoli e questi parametri rischiano di non essere più virtuosi, per l’Italia e per l’Ue». Quanto a Bossi, loda gli svizzeri che lo ospitano nella sua convalescenza, perché «sono prudenti sull’entrata in Europa. Non è detto che l’ingresso nell’Ue migliori le cose». Si tratta di affermazioni che l’opposizione bolla come «gravi». Enrico Letta, responsabile economico della Margherita, rimbecca soprattutto Pera. «Sarebbe proprio di chi ricopre la seconda carica dello Stato», dice, «svolgere un ruolo di garanzia», rispettando gli impegni assunti dall’Italia con l’adesione all’euro. Il presidente del Senato aveva fatto presente che alcuni Paesi hanno già violato i limiti imposti da Maastricht. Ma, secondo Letta, ha dimenticato di dire che si tratta di nazioni «con un debito pubblico che è la metà di quello italiano». L’allusione è soprattutto alla Germania, con la quale si parlava di asse contro il Patto di stabilità.

Proprio ieri, però, Hans Eichel, ministro delle Finanze tedesco, ha negato «un’iniziativa comune» col governo di Roma. La presa di distanze lascia capire che, se anche il problema di reinterpretare il patto esiste, Berlino non vuole farsi risucchiare sulle posizioni del centrodestra italiano. Finora Silvio Berlusconi ha sempre evitato di abbracciare le tesi estreme di chi, nella sua maggioranza, chiede una sorta di disdetta di Maastricht. Ha insistito su una riduzione delle tasse garantita dalla copertura finanziaria: il premier sa che altrimenti faticherebbe ad ottenere il «via libera» del ministro dell’Economia, Siniscalco; e che Bankitalia e Quirinale sono preoccupati dai contraccolpi di una scelta del genere.

Da ieri, però, si registra un’accelerazione. E spunta l’ombra dello scontro istituzionale, perché era stato Pier Ferdinando Casini a mettere in guardia su una riforma fiscale «avventurosa». Il modo in cui Pera ha reagito dà l’idea di un attacco frontale al presidente della Camera e all’Udc di Marco Follini; ma anche a quanti, dentro An, frenano il progetto berlusconiano. «Temo che ci sia nella cultura della destra e anche del centro un senso quasi di nostalgia. Ma la nostalgia è il contrario della lungimiranza che noi di Forza Italia», ha detto spogliandosi per un attimo della carica di presidente del Senato, «abbiamo e dobbiamo continuare ad avere».

E’ il segno di una tensione con Udc e An, che appare destinata a crescere da qui al 29 novembre: il giorno in cui il governo dovrà presentare l’emendamento sulla riforma fiscale. FI pensa ad una manifestazione contro le tasse anche senza gli alleati. Qualunque distinguo rispetto al premier viene considerato «sbagliato». «Casini ha parlato come Follini», accusa Sandro Bondi, custode del berlusconismo. Ma le sue parole fanno capire che si allontana la speranza di vedere una divergenza fra presidente della Camera e segretario dell’Udc. Le distanze rimangono nette e, in apparenza, incolmabili. Eppure, alla possibilità di un voto anticipato continuano a credere in pochi.

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