Da La Stampa del 22/11/2004

Immigrati la carta dei doveri

di Ferruccio De Bortoli

Con la sola tolleranza si costruisce poco, spesso si distrugge. La profonda crisi del modello multiculturale olandese ne è un esempio. Ma, notava sabato Il Foglio, il Belgio non è da meno. Theo Van Gogh, il regista che denunciò la soggezione delle donne nel mondo islamico, un Moore alla rovescia, ha incontrato la lama del suo assassino. Di origine marocchina ma olandese come lui. Con l'intolleranza non si costruisce nulla e si distrugge tutto. Dopo il caso Van Gogh, un ex liberale, Geert Wilders, ha proposto di chiudere addirittura le frontiere. E se si andasse al voto, dicono i sondaggi, avrebbe la preferenza di un concittadino su cinque.

Una società come quella olandese, che ha fatto del laicismo permissivo il proprio credo, oscilla paurosamente dalla condizione in cui tutto è libero e aperto (eutanasia, nozze gay), all'aspirazione xenofoba in cui molto è proibito e chiuso. Ha ragione il primate cattolico Adrian Simonis, intervistato da Avvenire: quando la tolleranza, al di là della perdita della fede, è il frutto acido di un'identità diluita, la società multiculturale si trasforma in un corpo molle e informe. Un insieme, pur ricco e colorato, di lingue e appartenenze, ma non una comunità. Una sommatoria disordinata di individui, ma non di cittadini. Un contesto nel quale l'affermazione orgogliosa di specificità culturale, anche se politicamente scorretta, come quella di Van Gogh, finisce per essere provocatoria, estremista, inaccettabile. Chi è abituato a sentirsi dire sempre di sì da chi lo ospita e lo integra non sopporta un no, anche se gridato male. E chi ha concesso troppo ai nuovi arrivati, davanti al trauma del conflitto etnico e religioso, reagisce chiudendosi ed escludendo. Il timone sociale muta rotta. Di colpo.

In margine alla polemica sui valori, soprattutto cristiani, e sulle identità occidentali, varrebbe la pena anche in Italia di discutere su come sarà la nostra società fra dieci o vent'anni. Lo ha fatto per prima Barbara Spinelli nel suo editoriale su La Stampa di ieri. Nel 2015 l'Olanda avrà una maggioranza di cittadini immigrati. Noi siamo in condizioni diverse, ma basta leggere la percentuale di nati da coppie straniere in molte città o viaggiare su un metrò per rendersi conto che, in diverse parti del nostro Paese, gli italiani sono già minoranza. L'Italia del futuro non potrà che essere una società multietnica: siamo una nazione anziana, abbiamo bisogno di forza lavoro straniera. Ma nessuno di noi la vorrebbe disordinatamente e confusamente multiculturale, un impasto casuale di etnie e, peggio, di religioni. Perché ciò non avvenga, una società multietnica ordinata va costruita per tempo; pensata e progettata nel riconoscimento delle diversità culturali e religiose. E l'identità italiana va difesa: solo dalla sua affermazione (perché no orgogliosa?), nasce una vera cultura del rispetto reciproco.

Di questo tema non discute nessuno; non ci sono proposte serie, né della maggioranza né dell'opposizione. L'immigrazione è vista ancora, e necessariamente, solo dal lato della gestione dei flussi e della regolarizzazione degli ingressi. Come fosse unicamente un problema di polizia. L'emergenza non finisce con l'assegnazione di un lavoro. Comincia. Il sociologo francese Nicolas Baverez ha censito trecento «territori chiusi» nelle metropoli francesi (quasi due milioni di persone, in maggioranza islamici) nei quali la République e le sue leggi semplicemente non esistono. La vera integrazione passa dalle scuole, dai rapporti sociali, dalle comunità locali, da un percorso nel quale il passaporto è considerato un punto di arrivo di cui essere fieri, non un banale fastidio burocratico. Solo un'idea forte di cittadinanza, scrive Baverez, dà sostanza alla convinzione che ogni diritto si accompagni a un dovere. Ed è l'assolvimento del secondo che rafforza il primo. Si rispetta chi ci rispetta. Altrimenti tutto è dovuto, nulla può essere chiesto. Il Paese si scolora in un'espressione geografica nella quale al rischio di passare in minoranza si aggiunge la paura di essere, un giorno non lontano, stranieri in patria. E la paura è cattiva consigliera.

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