Da La Stampa del 17/11/2004
Gli sgravi senza mira
di Enrico Deaglio
Strategie e disegni appena abbozzati vengono stravolti per esigenze di cassa o, più ancora, di urna elettorale; obiettivi di lungo periodo vengono deformati perché si adattino a esigenze politiche immediate; strumenti di riforma e rilancio economico rischiano di trasformarsi in veicoli di elemosina a fini politici. Nella messa a punto della Finanziaria, tutto insomma sembra precipitare verso una triste sorta di minimo comun denominatore, verso il livello più basso politicamente e contabilmente accettabile.
Un esempio di questa rapida metamorfosi negativa è il progetto di riduzione dell'Irap, l'imposta che colpisce i redditi delle attività produttive e la cui legittimità è stata, proprio ieri, contestata dalla Commissione di Bruxelles davanti alla Corte di Giustizia europea: nel giro una settimana siamo passati da un disegno di profilo abbastanza alto - anche se di entità necessariamente modesta - mirante alla riqualificazione produttiva del Paese, a una manciata di spiccioli, gettati senza discriminazione davanti a imprese di ogni tipo, dimensione e potenzialità. Dalla prospettiva di un'azione mirata stiamo andando verso quella di un beneficio spalmato su qualche milione di unità economiche che abbiano, a qualunque titolo, l'etichetta di «imprese». Naturalmente, allargando verso il basso la definizione di «imprenditore» aumenta il numero degli appartenenti a questa categoria; scende il peso economico ma aumenta il peso elettorale e proprio il calcolo elettorale rischia di avere la meglio sulla progettazione economica.
Con questa Finanziaria, il Paese può disporre di qualche miliardo di euro «liberi», il cui uso, in altri termini, non è determinato dai durissimi vincoli imposti dal patto di stabilità. Questa piccola capacità discrezionale si colloca in un panorama di sofferenza dell'industria italiana, la quale perde quote di mercato in Europa, scivola nelle classifiche internazionali, è costretta su posizioni difensive. E succedono con frequenza sempre maggiore casi traumatici come quello di cui si è avuta notizia ieri: presso Torino, una fabbrica di proprietà estera, con quasi mille operai, è stata chiusa senza preavviso e le sue produzioni saranno ricollocate in altri Paesi.
Gli sgravi dell'Irap devono essere decisi avendo in mente il tipo di imprese, il tipo di Paese che si vuol realizzare. Con il progetto attuale, questo grande complesso, come qualunque piccola unità produttiva, riceverebbe uno sgravio di duecento-trecento euro l'anno. Abbastanza per pagare un caffè al giorno a spese del governo, non certo per finanziare innovazione e crescita.
Un esempio di questa rapida metamorfosi negativa è il progetto di riduzione dell'Irap, l'imposta che colpisce i redditi delle attività produttive e la cui legittimità è stata, proprio ieri, contestata dalla Commissione di Bruxelles davanti alla Corte di Giustizia europea: nel giro una settimana siamo passati da un disegno di profilo abbastanza alto - anche se di entità necessariamente modesta - mirante alla riqualificazione produttiva del Paese, a una manciata di spiccioli, gettati senza discriminazione davanti a imprese di ogni tipo, dimensione e potenzialità. Dalla prospettiva di un'azione mirata stiamo andando verso quella di un beneficio spalmato su qualche milione di unità economiche che abbiano, a qualunque titolo, l'etichetta di «imprese». Naturalmente, allargando verso il basso la definizione di «imprenditore» aumenta il numero degli appartenenti a questa categoria; scende il peso economico ma aumenta il peso elettorale e proprio il calcolo elettorale rischia di avere la meglio sulla progettazione economica.
Con questa Finanziaria, il Paese può disporre di qualche miliardo di euro «liberi», il cui uso, in altri termini, non è determinato dai durissimi vincoli imposti dal patto di stabilità. Questa piccola capacità discrezionale si colloca in un panorama di sofferenza dell'industria italiana, la quale perde quote di mercato in Europa, scivola nelle classifiche internazionali, è costretta su posizioni difensive. E succedono con frequenza sempre maggiore casi traumatici come quello di cui si è avuta notizia ieri: presso Torino, una fabbrica di proprietà estera, con quasi mille operai, è stata chiusa senza preavviso e le sue produzioni saranno ricollocate in altri Paesi.
Gli sgravi dell'Irap devono essere decisi avendo in mente il tipo di imprese, il tipo di Paese che si vuol realizzare. Con il progetto attuale, questo grande complesso, come qualunque piccola unità produttiva, riceverebbe uno sgravio di duecento-trecento euro l'anno. Abbastanza per pagare un caffè al giorno a spese del governo, non certo per finanziare innovazione e crescita.
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