Da Corriere della Sera del 17/11/2004

Siniscalto in aula: scontro sulla finanziaria

Violante (Ds): la manovra non esiste Il vicepremier: volete darci una spallata. Oggi il voto alla Camera

di Mario Sensini

ROMA - Tensione altissima, rissa sfiorata, e seduta sospesa, ieri alla Camera durante la discussione della Finanziaria 2005. Protagonisti del più duro scontro verbale della XIV legislatura tra il governo e l’opposizione, il vicepremier Gianfranco Fini e il capogruppo ds, Luciano Violante. Motivo, il ritiro degli emendamenti dell’opposizione alla legge di bilancio, dopo l’intervento in Aula del ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, e l’ammissione che il tanto atteso emendamento del governo sul taglio delle tasse, che sta condizionando i lavori sulla Finanziaria, «non è ancora completamente definito» e non può quindi essere presentato. «La Finanziaria non esiste, è evidente. Ora basta, ritiriamo tutte le nostre proposte di modifica. Qui non ci sono le condizioni per un confronto democratico» ha tuonato a quel punto Violante, scatenando l’ira di Fini. «Volete solo dare una spallata alla maggioranza e dimostrare che la Camera non è in grado di approvare la Finanziaria» ha esordito il vicepresidente del Consiglio. Scaldandosi, man mano, sempre di più. «Chi se ne va ha sempre torto, perché questo è un luogo dove si è eletti per restare, per discutere. Andatevene pure» ha incalzato Fini. «Ritiratevi pure sull’Aventino. La maggioranza va avanti, l’accordo lo troveremo. Andatevene - ha continuato, quasi urlando per sovrastare il trambusto dell’Aula - ma non veniteci a dare lezioni di democrazia».

A poco è servita la puntualizzazione del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, dopo aver decretato la sospensione della seduta chiesta da Violante. «Preciso che da parte delle opposizioni è stato annunciato solo il ritiro degli emendamenti, non l’abbandono dell’Aula. E comunque è stato garantito in Aula il dibattito più libero», ha detto, mentre Violante sibilava, tornando alla storia del 1924: «Vista la forza da cui viene, è bene che Fini non parli proprio di Aventino».

La polemica rischia a questo punto di complicare ancora di più il cammino, già difficile, della Finanziaria. Anche la maggioranza, riunitasi subito dopo con lo stesso Siniscalco e il sottosegretario Gianni Letta, ha deciso il ritiro degli emendamenti e il trasferimento immediato della Finanziaria al Senato, dopo il voto di oggi. Servirà a guadagnare qualche giorno per la messa a punto dell’emendamento sulle tasse. Ma non a ripristinare, come si era ipotizzato in un primo momento, il saldo netto da finanziare del 2005, ridotto dall’opposizione con un emendamento in Aula, da 50 a 49,1 miliardi di euro.

Una mossa, operata con il taglio di alcuni fondi per investimenti, che ha di fatto ridotto all’osso i margini di manovra del Parlamento sul bilancio 2005. E che il governo, a questo punto, non vuole o non può recuperare (i saldi, nella sessione di bilancio, possono solo essere migliorati). «A questo punto - ha detto ieri Siniscalco nel suo intervento alla Camera - non sono più possibili ulteriori modifiche alla spesa corrente. Il governo dirà no, perché non ci sono più i margini».

Al Senato rischia dunque di arrivare una Finanziaria super blindata, di fatto immodificabile. Come è facile prevedere, anche se tutti lo escludono, che non ci sarà un gran dibattito sul pacchetto fiscale, di cui la maggioranza discute da mesi, una volta presentato. Restano le modifiche alla legge di bilancio varate a Montecitorio. La riscrittura del tetto alla crescita della spesa pubblica del 2% e la revisione del Patto di Stabilità interno con le nuove regole per gli enti locali. Modifiche che se per Siniscalco «migliorano il testo del governo», sono state varate contro il parere del governo stesso. Almeno quella sul Patto di Stabilità, dentro il quale è stata reinserita anche la cosiddetta «legge mancia» dei deputati, con 548 milioni di euro di micro-interventi infrastrutturali. Il governo aveva detto di no perché la copertura attingeva in parte (168 milioni dal 2007) ai fondi del ministero Welfare per la riforma degli ammortizzatori sociali. Il ministro Maroni dovrà probabilmente farne a meno.

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