Da La Repubblica del 16/11/2004

La Mezzaluna rossa lascia la città: "Non ci permettono di consegnare gli aiuti". Si combatte a Mosul

Falluja, la denuncia di Amnesty "Un grande disastro umanitario"

Sul web Zarqawi incita gli insorti: "Impedite ai nemici di avanzare, attaccateli per primi"

di Daniele Mastrogiacomo

AMMAN - La Mezzaluna rossa ha gettato la spugna. Ha lasciato Falluja. Frustrati da una attesa di tre giorni alla periferia della città, i rappresentanti dell´organizzazione umanitaria sono dovuti rientrare a Bagdad senza aver portato a termine la loro missione. Niente distribuzione del cibo, dell´acqua, delle medicine. Niente assistenza ai feriti, ai moribondi, alle migliaia di famiglie rimaste sotto la furia dei bombardamenti e delle sparatorie per una settimana. Dopo i vertici militari americani, anche il primo ministro Iyad Allawi ha negato l´autorizzazione, accusando la Mezzaluna rossa di essere «legata al passato regime di Saddam Hussein». La portavoce dell´organizzazione, Ferdus al Ibadi, è prima insorta respingendo le accuse, poi si è chiusa dietro un «no comment» quando le è stata chiesta una dichiarazione. Al Ibadi, domenica mattina, si era rivolta al presidente iracheno Ghazi Yawer, sunnita, chiedendogli di intercedere per consentire al piccolo convoglio di aiuti di entrare nella città martoriata. Non è accaduto nulla.

Nessuno conosce cosa sia accaduto nella città ribelle sunnita. Quante siano le vittime civili, quanti palazzi sono stati abbattuti, quanta gente sia rimasta sotto le macerie. Ma tutte le testimonianze raccolte, dai profughi che sono riusciti a lasciare Falluja, ai sanitari degli ospedali, anche questi distrutti, ad un collega iracheno che lavora per la Bbc in lingua araba e che vive a Falluja, dicono che la situazione è disperata. Un «grande disastro umanitario». Amnesty international punta il dito contro gli Usa e i ribelli. «Le regole di condotta in guerra che proteggono i civili e i combattenti feriti sono state gravemente violate da ambo le parti», dice in una nota, «venti addetti ai servizi medici e decine di altri civili sono stati uccisi quando un missile ha centrato una clinica di Falluja. Lo stesso giorno un bambino è stato colpito da una scheggia allo stomaco. I genitori non sono riusciti a portarlo in ospedale: è morto dissanguato ed è stato sepolto in giardino». Allawi minimizza: «Non ci sono state vittime civili». Ma un operatore di una ong irachena sul posto insiste: «Sono stati trovati 22 corpi bruciati nel distretto di Jolan, 5 di questi erano in una casa, tra loro c´era un ragazzo di 15 anni e un uomo con un arto artificiale». Molti corpi giacciono per strada, dicono altre fonti, e sono preda di cani e gatti che vagano in una città, aggiunge Fadhil Badrani, della Bbc, «spettrale». Asma Khmis al Muhannedy, assistente sanitaria dell´ospedale di Falluja: «Quando sono arrivati i marines ci hanno picchiati e messi al muro. Dicevano che eravamo armati. Ci hanno tolto soldi e telefonini». I tank sono entrati dentro Shuhada, roccaforte degli insorti a sud di Falluja. Qui è stato scoperto un vero bunker sotterraneo, con cunicoli comunicanti e rinforzati con pareti d´acciaio. Un gruppo di cecchini è rimasto dentro i palazzi e dà del filo da torcere alle pattuglie Usa. Ma il grosso dei combattenti si è spostato verso sud-ovest, allargando il fronte di 30-40 chilometri. Le strade sono disseminate di trappole con mine e ordigni da far esplodere a distanza.

La situazione resta pesante e incerta in gran parte del triangolo sunnita. Rivolte e battaglie si segnalano un po´ ovunque. Il leader terrorista al-Zarqawi ha chiesto ai guerriglieri di impedire all´esercito statunitense di attaccare altre città, dopo Falluja: «Se il nemico - ha affermato in un audio trasmesso da un sito web islamico - finisce con Falluja, esso si muoverà verso di voi. Dovete stare attenti e mandare all´aria questo piano. Avanzate verso di loro e bombardateli con razzi e colpi di mortaio». Ieri violentissimi scontri a Baquba. E´ intervenuta l´aviazione e dopo dieci bombardamenti sono rimasti sul terreno 20 insorti. Allawi punta alla pacificazione e vuole rispettare la scadenza elettorale del 27 gennaio. Anche se qualcuno comincia a pensare ad un rinvio. Come il vicepremier Barham Salih che per la prima volta parla della necessità di «un dialogo serio per verificare la situazione nel paese, prima di andare al voto». Anche la Romania annuncia il suo disimpegno: ritirerà la truppe a giugno prossimo, l´Ungheria il 31 dicembre e l´Olanda, nonostante le pressioni Usa, a metà marzo.

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