Da Corriere della Sera del 10/11/2004

IL REPORTAGE / Il Venezuela sta sostituendo Cuba e Nicaragua nell’immaginario collettivo. Con qualche nuovo fan

Chávez, tra Castro e Bush

Il leader populista piace a una parte della sinistra ma anche a destra. Gli oppositori di Caracas: sognate rivoluzionari che non esistono

di Gian Antonio Stella

CARACAS - Il «mago de las emociones» Hugo Chávez, con quella faccia da «indio simpatico e popolarissimo, idolo dell’America latina ribelle», come ha scritto palpitante Luciana Castellina, ha fatto un incantesimo.

Un intruglio da «curandero» dove ha messo: un basco militare, la bandiera rossa, una spruzzata di castrismo, due note di flauto andino, un po’ di peronismo in salsa Evita e dosi triple di populismo, tutto spalmato di melassa televisiva traboccante «chiquita» e «muchachita» e bacetti e «cuoremio» che manco Mara Venier a mollo nello sciroppo. Fatto sta che un pezzo della sinistra italiana, dimentica di altre delusioni tropicali da Fidel ai sandinisti, ha preso per il presidente venezuelano una cotta davvero difficile da capire.

Armando Cossutta tuona che «a un’opposizione di stampo reazionario foraggiata dagli Usa, la patria di Simón Bolívar oppone l’enorme adesione popolare alla sua sovranità». Marco Rizzo esulta per l’ultimo trionfo elettorale dicendo che «è la vittoria delle forze del progresso che si oppongono allo strapotere del governo americano». Fausto Bertinotti spiega che «Chávez ha portato al governo le ragioni dei poveri e degli indigenti». Pietro Folena dice che «pur non nutrendo alcuna simpatia particolare per Chávez, e per i suoi tratti populisti, lo schieramento di larga parte del socialismo europeo a favore di forze politiche di opposizione pro-golpiste è inquietante». Vittorio Agnoletto sdottoreggia che «la vittoria di Chávez rappresenta una speranza per tutta la popolazione povera del Venezuela e di tutta l’America Latina». Gennaro Migliore gioisce poiché «Chávez condivide le stesse passioni del movimento girotondino: è contro il neoliberismo, la guerra e promuove una democrazia partecipativa».

Certo, ogni amore ha qualche spina. Turba che Vladimir Putin, il cui regime nei commenti dell’ Unità è «per molti versi simile al fascismo di Mussolini», diffonda note d’«appoggio al presidente Chávez». Che la Libia, stato non proprio democratico, dia a Chávez il premio Gheddafi «per avere resistito all’imperialismo e difeso i poveri». Che le felicitazioni più calorose per il referendum d’agosto siano giunte dal nostro ambasciatore Gerardo Carante: «Ho presentato le congratulazioni del nostro governo per l’impressionante margine della vittoria ottenuta». Che la difesa più sentita di Chávez sia stata fatta alla Camera da Gennario Malgieri, direttore del Secolo d’Italia . Che il forzista Dario Rivolta si sia chiesto se l’opposizione a Chávez «sia veramente in nome di una reale volontà democratica o invece a difesa di privilegi acquisiti» e se il chavismo «pur nella sua rozzezza di procedure» non sia «la via sudamericana alla maggiore equità sociale».

Spine. Spine nel cuore. Come l’intesa commerciale con gli Usa (che al di là degli insulti non hanno mai visto compromesso il loro ruolo di primo cliente del petrolio venezuelano) e i contratti con Texaco ed Exxon per lo sfruttamento dei giganteschi giacimenti dell’Orinoco o la costruzione di un polo chimico da tre miliardi di dollari, che hanno spinto il quotidiano Tal cual a pubblicare vignette con Chávez e Bush abbracciati su un barile d’oro nero. O gli attacchi alla magistratura (che pure fu assai bonaria dodici anni fa con l’allora tenente colonnello autore del tentato golpe contro un governo corrotto, ma democraticamente eletto) così simili a quelli del Cavaliere: «Ho dentro un’indignazione che vorrei trasmettere a tutti: il potere giudiziario è nelle mani di un mucchio di banditi. Noi dobbiamo mettere ordine nel potere giudiziario». O il tono con cui giurò «su questa Costituzione moribonda...». O la violenza verbale: «Bisogna friggere il cervello di quelli di Azione Democratica». O il culto della personalità pari a quello per Maria Lionza, la dea india che cavalca nuda un tapiro.

Sospira, quel pezzo di sinistra nostrana. Sospira se Chávez marca il calendario come il Duce con l’era fascista: «In este sexto año de la revolución bolivariana...». Sospira se vara una nuova costituzione per promulgare 47 leggi scavalcando il parlamento. Sospira se, tra i battimani dei colonnelli sudamericani sempre abbinati al golpismo, introduce la materia scolastica «cultura militare» (mettete che lo faccia la Moratti!) «come base d’una coscienza nazionalista». Sospira se sul sito www.urru.org vede foto di blindati militari bardati di propaganda chavista o di urne elettorali aperte da gente in divisa in violazione delle regole o di misteriosi pistoleri col basco rosso che sparano su una folla inerme o di chavisti che abbattono la statua «colonialista» di Cristoforo Colombo come fosse quella di Hitler o di Stalin. Sospira e tira diritto. Aggrappata alle solite tesi: quanto fosse indifendibile la vecchia e corrotta classe dirigente e quanto sia stolta e frantumata l’opposizione di oggi e quanto sia stato spropositato lo spreco di risorse e infame la gestione del petrolio e folle quella delle campagne che ha spinto nelle città l’86% della popolazione con l’automatica esplosione di una violenza omicida.

Tutto vero. Quanto è vero che molte riforme di Chávez, come la stessa opposizione migliore riconosce, sono populiste e spesso già tentate in passato dalla destra, ma positive. Certo, gli ospedali sono allo sfascio, ma come negare che col progetto «barrio adentro» son arrivati nelle bidonville (cambio-merce col petrolio) migliaia di medici e infermieri cubani che visitano gratis i poveri? L’edilizia popolare è quasi ferma (330 mila case costruite da Caldera col petrolio a 9 dollari, 100 mila negli anni di Chávez), ma come negare il valore del progetto Robinson contro l’analfabetismo che pure era il più basso dell’America Latina? Le riforme di sostanza non si sono ancora viste, ma come negare la carica ideale dei «mercales» dove la merce è scadente, ma costa poco o delle case di «alimentaciòn» dove gruppi di donne preparano il pasto per centinaia di persone? Certo, puoi chiamarlo clientelismo e ricordare le beneficenze di Achille Lauro o i regali di Natale che Evita distribuiva ai bambini poveri dell’Argentina peronista. Ma perché sottilizzare? Bene così.

Resta una domanda che per l’intellettuale di sinistra Alexis Marquez dovrebbero porsi i nostri intellettuali «da bar notturno»: possono bastare questi lodevolissimi rattoppi populisti a fare di Chávez l’idolo d’un pezzo di sinistra? Può bastare uno slogan vergato sulle bidonville come «la rivoluzione avanza collina dopo collina» a rendere accettabili le forzature istituzionali e in qualche modo secondario l’odio che il colonnello semina nel Paese fino al punto, come ha scritto Mario Vargas Llosa, di «raggrinzire la vita sociale fino a estremi ormai contigui alla guerra civile»? Può bastare la formale libertà di stampa a occultare il carattere di un regime fondato su un «messianesimo» che grazie al rapporto diretto con le plebi non ha bisogno d’azzerare l’opposizione? Non fosse molto preoccupato, Teodoro Petkoff, un ex-guerrigliero che dopo una radicale autocritica sulla violenza è rimasto saldamente a sinistra fino a diventare prima ministro e oggi un punto di riferimento dell’ammaccata opposizione democratica, ci riderebbe su: «Un pezzo della sinistra europea restata sotto le macerie della catastrofe sovietica e orfana delle illusioni vietnamite e castriste, quando trova nel Terzo Mondo uno che spara sugli americani ha un orgasmo. Tutto il senso di impotenza di cui soffrono nel dover prendere atto che il loro sogno romantico di rivoluzionari è fallito lo sfogano con questi innamoramenti. Certo, ammettono pure che non sta bene tentare un golpe o far le leggi senza parlamento, ma insomma, via, è così pittorescamente tropical!».

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