Da Corriere della Sera del 13/11/2004

L’ANALISI

L’omaggio senza dolore dei capi di Stato arabi e il minimalismo europeo

Sui volti si leggevano i tanti rimpianti per le occasioni perdute dal raìs

di Antonio Ferrari

Dai potenti Yasser Arafat pretendeva la forma, perché nella solennità si esaltava: saluti militari, inni, bandiere, onori. Delle masse e dei combattenti palestinesi amava il sostegno rumoroso e sudaticcio, perché lo faceva sentire ciò che non aveva mai smesso di essere: un guerrigliero. Ieri, il presidente palestinese ha probabilmente ricevuto ciò che desiderava. Pur non essendo morto da eroe, è stato salutato come un Grande, assieme a tutte le sue ambiguità, da capi di Stato e di governo, da ministri e dignitari durante il funerale, alla periferia del Cairo. Ed è stato osannato con passione isterica a Ramallah, dalla sua gente, pronta per un giorno a perdonargli difetti e insipienza politica, e ad accompagnarlo alla tomba, costringendo i dirigenti palestinesi a rinunciare alla seconda cerimonia nella Mukata. Si è insomma materializzata la metafora di un'intera vita, e persino il copione del doppio funerale sembrava testimoniare le contraddizioni di un'icona incompiuta. Nell'atmosfera solenne e compassata del Cairo, i presenti parevano rendere onore al simbolo della causa palestinese, più che al leader di una nazione. Sui volti non si leggeva dolore, al massimo un po' di mestizia e tanti rimpianti per le occasioni perdute dal presidente, che da tempo aveva perduto il contatto con la realtà. Molti erano arrivati perché ci dovevano essere. Re Abdallah di Giordania, che considerava Arafat inaffidabile, non può dimenticare che il 65 per cento dei suoi sudditi è di origine palestinese. Il principe ereditario saudita Abdullah, che non sopportava le maldestre acrobazie del raìs, ha inteso ricordare alla platea televisiva planetaria la legittimità del suo piano (inascoltato) sul riconoscimento di Israele, in cambio del ritiro da tutti i territori occupati nel 1967. Il presidente Bashar El Assad voleva dimostrare che la Siria non ha dimenticato i palestinesi: più che la bara scrutava Abu Mazen, il successore di Arafat.

Il padrone di casa, l'egiziano Hosni Mubarak, ospitando la solenne cerimonia, ha anche voluto compensare, con un gesto generoso, un debito morale. Nel 1983, quando Arafat fu costretto, per la seconda volta, a lasciare il Libano e a partire per l'esilio di Tunisi, fece tappa in Egitto. Molti ritennero che quello di Mubarak fosse un gesto di generosità, di cui i politici sono avari, nei confronti del raìs in difficoltà. Era vero il contrario. Incontrando il presidente egiziano, al timone di un Paese che allora era vittima dell'ostracismo arabo per via del trattato di pace con Israele, il leader dell’Olp, in quel momento popolarissimo, gli offriva la propria legittimazione.

Gli americani e gli europei non sono voluti mancare, però con delegazioni ridotte, condizionate dai se e dai ma. Persino i controllori del traffico aereo del Cairo hanno influito sul clima ribassista: i ministri degli esteri tedesco, britannico e spagnolo sono stati costretti a vagare, nel cielo della capitale, perdendo il cuore di una cerimonia funebre che comunque è stata degna di un capo di Stato.

Ma Arafat voleva la folla palestinese, quella stessa folla che il giorno della sua partenza per l'ultimo viaggio a Parigi si era ben guardata dall'interrompere la colazione dell'alba, prima del digiuno imposto dal Ramadan, e aveva disertato la Mukata, lasciando partire il raìs malato in solitudine. Ieri, forse per gridare l'effimera rinascita di un amore logorato dall'abitudine e dalle delusioni, i palestinesi di Ramallah si sono riappropriati del loro leader, con una tumultuosa manifestazione di massa, che ricordava i funerali di Khomeini: slogan, urli, spari in aria, la bara diventata un trofeo, paura. A fatica, Arafat è stato sepolto sul piazzale della Mukata. Dentro la cassa di legno, come un morto provvisorio, perché lui voleva riposare sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. Nell'attesa che un giorno il suo desiderio possa realizzarsi.

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