Da Corriere della Sera del 13/11/2004

Un intreccio di cifre e conti bancari. Le accuse di Ilda all’«imprenditore»

di Giovanni Bianconi

MILANO - All’inizio ricorda le rivelazioni di Stefania Ariosto sulle confidenze ricevute dal suo «caro amico» Cesare Previti, quando «il teste Omega» parlò dei magistrati romani «a libro paga» di Silvio Berlusconi e della Fininvest. Ma subito dopo il pubblico ministero Ilda Boccassini cambia registro: «Adesso facciamo parlare i documenti». Non più le dichiarazioni di una donna «attaccata anche in modo bieco, fino a colpirla negli affetti più cari», ma una sfilza di conti svizzeri e contabili bancarie. Numeri, date e cifre a sei e nove zeri che corrispondono a milioni e miliardi di lire. «E questi sono fatti», chiosa spesso il pm, con un sottinteso «altro accanimenti giudiziari o persecuzioni politiche». Fatti, ripete il magistrato. Come i conti all’estero di alcuni giudici, primo fra tutti Renato Squillante, già condannato in primo grado a otto anni di carcere perché «corrotto». Per conto di chi? «Dell’imprenditore Silvio Berlusconi», risponde oggi Ilda Boccassini nell’ultimo atto d’accusa di questo scampolo di processo smembrato grazie a una legge varata in gran fretta dalla maggioranza di governo, poi dichiarata incostituzionale. Ora è arrivato il momento del giudizio anche per l’unico imputato non ancora giudicato. L’imprenditore Berlusconi, appunto. Non il presidente del Consiglio, anche se a conclusione della requisitoria il pm ricorderà come lui stesso rivendicò in aula quella qualifica che lo renderebbe «più uguale degli altri» davanti alla legge. Ma fino ad allora il magistrato cita «l’imprenditore Berlusconi». Quasi a ribadire, per chi continua a sostenere il contrario, che non ci sono velleità politiche dietro la richiesta di condanna. Solo «fatti documentalmente provati».

Come quei 434.404 dollari e 87 centesimi che nel marzo ’91 passano in poche ore da un conto collegato alla Fininvest a un altro di Renato Squillante, via conto intestato a Cesare Previti. Soldi che provengono, nella lettura dell’accusa, dalle «disponibilità personali» di Silvio Berlusconi. O come la conoscenza tra i due, il giudice e l’imprenditore, che risale almeno dal 1984, quando il primo interrogò il secondo assistito dall’avvocato Previti, mentre Berlusconi è venuto in aula a raccontare altre storie e altre date. «Menzogne», dice il pm, dopo aver ripercorso tutte le tappe di un’indagine complessa ma «normale», condotta con la professionalità delle inchieste antimafia: all’inizio ci possono essere confidenze o testimonianze ovviamente da riscontrare, ma poi le parole cedono il passo a conti correnti, documenti bancari, intercettazioni e studio dei tabulati telefonici, colloqui registrati da microspie, pedinamenti. Infine c’è stata l’analisi «doverosa, puntuale e rigorosa» delle tesi difensive, risultate però «senza alcun fondamento».

Questo è il quadro disegnato dalla Procura con «tonnellate di documenti, altro che tonnellate di fango», ricorda ancora il pm (con una punta d’orgoglio) in risposta alle accuse lanciate in aula da Berlusconi. «Bugie», alle quali la Boccassini e il suo collega Colombo replicano con i risultati di un’indagine «normale»: che ha dimostrato, ad esempio, come il conto svizzero chiamato «Polifemo» sul quale sono transitati i 434.404 dollari giunti a Squillante nel ’91, è servito in quell’anno a far girare una dozzina di miliardi destinati a Previti o a Bettino Craxi. Non pagamenti di parcelle, quindi, come hanno detto Previti e Berlusconi, ma tangenti. Utilizzate, fra l’altro, per corrompere i magistrati «a libro paga».

Per questo - ricostruisce il pm citando la testimonianza dell’avvocato Vittorio Dotti, all’epoca avvocato della Fininvest - quando nell’agosto ’95 Berlusconi venne inopinatamente a sapere che da poche ore era stata assegnata una scorta a Stefania Ariosto, chiese allarmato all’allora fidanzato della donna, cioè Dotti: «Ma non è che sta dicendo cose del gruppo?». Preoccupazioni preventive evidentemente fondate, se proprio dai verbali della Ariosto sono cominciate le indagini sfociate nei «riscontri incontrovertibili» rovesciati ora sul tavolo del tribunale. Sufficienti a condannare, secondo l’accusa, un imputato da giudicare come tutti gli altri: «l’imprenditore Silvio Berlusconi».

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