Da Corriere della Sera del 09/11/2004

La moglie contro i capi palestinesi

Lo schiaffo di Suha «Vogliono seppellire Arafat ancora vivo»

di Antonio Ferrari

GERUSALEMME - Tre parole agghiaccianti, «vogliono seppellirlo vivo», compresse in un’immaginaria cintura da kamikaze, sono esplose dagli schermi della tv Al Jazira , provocando un inferno morale nel mondo palestinese. Una devastazione più dolorosa di tutte le rappresaglie israeliane dall'inizio della seconda intifada. Non si contano i morti, ma le gravissime ferite che possono indebolire il destino di un popolo, oggi orfano di tutto. Persino della notizia della morte del suo capo, Yasser Arafat. Le terribili accuse non sono arrivate dai tanti nemici, sempre sospettati di ordire complotti, ma da Suha Tawil, la moglie del presidente palestinese.

Queste accuse hanno colpito la credibilità e il prestigio degli uomini che di Arafat dovranno raccogliere l'eredità politica. E che la sposa del raìs considera poco più che meschini e corrotti approfittatori, che avevano già preparato tutto per staccare la spina che collega alle macchine la vita, ormai vegetativa, del presidente; che erano pronti a trasportarlo al Cairo e a interrarlo a Gaza nel 27° giorno di Ramadan: chiedendo al cielo di onorare la sepoltura nella Lailat al Kadar, la notte del destino, che ricorda le rivelazioni di Allah al profeta Maometto.

Era consapevole, Suha, della sua bomba televisiva? Sì, «senza alcun dubbio», confermano fonti della sua famiglia, alla quale la donna ha imposto il silenzio. Bastava osservarla durante l'intervista, con il suo tono concitato e insieme sicuro, l'accurata scelta della parole, e quella conclusione per incitare le masse a resistere, «fino alla vittoria». Non era lei che parlava, era il marito moribondo che chiedeva di opporsi agli usurpatori, regolando i conti che la letale malattia ha lasciato in sospeso.

Suha non è amata dai palestinesi, ma il leader l'ha scelta come compagna. Però nel mondo arabo, dove l'onore conta più della vita, la moglie non poteva abbandonare il marito nel momento più difficile, anche se il bunker della Mukata era triste, malsano e insicuro. Ecco perché gli anni vissuti tra gli agi di Parigi, con la figlioletta Zahwa, che ora è ospite del presidente tunisino Ben Ali, sono diventati, nell'immaginario popolare, prova di insensibilità ed egoismo. Tuttavia, Suha è la moglie del raìs, e nessuno dei possibili successori aveva la legittimazione per ostacolare la volontà della First Lady, che voleva il leader morente nella capitale francese, per proteggerlo con lo scudo di una legge che privilegia i diritti della famiglia.

Ma di chi è Arafat? Della famiglia, del suo popolo, o della causa? Al suo popolo e alla causa non apparteneva forse Suha Tawil, ragazza di buona famiglia, che lavorava come una suffragetta negli uffici dell'esilio di Tunisi? Non fu la passione amorosa a unirli, ma una passione politica, e in essa Suha aveva trasferito la propria determinazione di combattente borghese, pronta a garantire al marito, sposato contro la volontà della famiglia, un approdo affettivo: accanto al presidente palestinese, doveva pur esserci una donna! Nessuno dimentica la furia con cui Suha mise in imbarazzo Hillary Clinton, oppure la foga con cui, due anni fa, benedisse gli attentati suicidi, sostenendo che «erano parte del diritto alla resistenza»; ma pochi hanno accettato la rapidità con cui decise di trasferirsi in Francia. Lontano da tutti: da Arafat e dalla sua corte litigiosa e impotente. Quindi, non stupisce la rabbia con cui la donna ha accusato Abu Mazen, Abu Ala e gli altri di voler seppellire un vivo. E non stupisce neppure che, nei giorni scorsi, mentre il malato sembrava transitare continuamente dalla vita alla morte, si sia appoggiata al capo del Fatah, Farouk Khaddoumi, ostinato oppositore degli accordi di Oslo, e naturalmente avversario dei riformisti che vogliono raccogliere l'eredità del raìs.

Sabato sera pareva che un compromesso fosse stato raggiunto, con la mediazione di Mohammed Dahlan, vicinissimo ad Abu Mazen ma da anni amico di Suha, consentendo alle parti di nascondere, almeno in pubblico, le divergenze della grande famiglia palestinese. Ma l'annuncio che Abu Mazen, Abu Ala e Nabil Shaat stessero per partire per Parigi, ha sconvolto la moglie del leader. Si è sentita raggirata, ha avvertito (o creduto di avvertire) che il dramma fosse all'epilogo. I francesi lanciavano segnali di insofferenza: le promesse di aiuto s'infrangevano contro il timore di diventare complici di un imbarazzante conflitto. Israele, che aveva già diffuso la notizia della morte del leader, ne attendeva la conferma. E i vertici palestinesi parevano pronti a fare la loro parte.

Ecco perché Suha ha chiamato Al Jazira e ha attaccato a testa bassa. Consapevole che, da moglie e futura vedova del leader, è diventata anche soggetto politico. Si sta cercando, in queste ore, di riempire di cerotti un dissidio che pare insanabile. I palestinesi si chiedono perché Suha l'abbia fatto. Sanno però che, dopo la morte del raìs, i successori dovranno fare i conti con la vedova.

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