Da Corriere della Sera del 08/11/2004

Giochi politici

La Casa Bianca cerca sciiti moderati. E teme l’asse Sadr-Chalabi

Il Grande ayatollah Ali al Sistani ha promesso un accordo per formare una coalizione. Il premier Allawi farà votare anche gli iracheni all’estero

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Nell'Iraq in fiamme, il Grande ayatollah Ali al Sistani, la massima autorità religiosa sciita, sta cercando di presentare una lista unica della sua confessione alle elezioni a gennaio. Il Grande ayatollah, un moderato, vorrebbe che gli sciiti, il 60 per cento della popolazione, assumessero il controllo del Paese con una coalizione centrista. Ha già promesso un accordo tra le loro maggiori forze politiche, il Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) di Abdul Aziz al Hakim e il Partito islamico Dawa di Ibrahim Jafari, ma si è ripetutamente scontrato con gli estremisti di Moqtada al Sadr, il predicatore ribelle.

A sua volta Sadr sta tentando di creare una coalizione antiamericana con Ahmad Chalabi, l'ex uomo del Pentagono a Bagdad, il fondatore del Congresso nazionale iracheno, e con i sunniti del Partito islamico iracheno di Mohsen Abdul Harmeed e dell’Associazione degli studiosi musulmani, la minoranza al potere sotto Saddam Hussein. Sistani crede che i due partiti secolari, l'Accordo nazionale iracheno del premier Iyad Allawi e il Movimento per l'Iraq indipendente di Adnan Pachachi, verranno sconfitti alle urne. Ma teme che, se non formerà un blocco sciita unico, gli estremisti sciiti e sunniti avranno il sopravvento.

È il New York Times a riferire delle cruciali manovre elettorali già in corso a Bagdad, mentre nel Paese divampa l’insurrezione. Manovre seguite con grande apprensione dalla Casa Bianca. Il presidente Bush non intende cambiare strada, e un diplomatico Usa ha detto al giornale che «esiste un mandato di cattura contro Sadr, e se vincesse le elezioni non gli stringeremmo di certo la mano». Ma l'arresto di Sadr prima del voto, o un attacco a Falluja, che sembra inevitabile, priverebbero il governo Allawi di ogni residua popolarità e accrescerebbero molto quella del partito antiamericano.

La Casa Bianca sembra puntare le sue speranze sul fatto che a gennaio si eleggerà un'assemblea di 275 membri che sceglierà il governo ed emanerà la costituzione: in ogni caso essa includerà parecchi alleati dell’America. Bush conta non soltanto sui due partiti laici ma anche sui due curdi, il Partito democratico del Kurdistan di Massoud Barzani e l'Unione patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani, che presenteranno una lista unica. E non dispera che, per contenere gli estremisti, alla fine gli sciiti moderati si schierino dalla sua parte, e che le truppe Usa siano invitate a restare in Iraq.

Per rafforzare le sue chance elettorali, il premier Allawi ha disposto che votino anche gli iracheni ancora in esilio o comunque all'estero, in teoria sostenitori suoi e di Bush. Ma come gli sviluppi militari sul terreno, così quelli politici in Iraq sono imprevedibili. La Casa Bianca inoltre si trova in difficoltà dopo le dimissioni di Robert Blackwill, il consigliere responsabile della sua strategia irachena: il presidente non ha ancora deciso se confermare le colombe come il segretario di Stato Colin Powell, o i falchi, come il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, ma pare propendere per i secondi.

A differenza dell'Afghanistan, in Iraq le elezioni - se si svolgeranno nei modi e nei tempi previsti - potrebbero aggravare la crisi. La prospettiva più inquietante è la nascita di un asse Chalabi-al Sadr-sunniti. Caduto in disgrazia perché sospettato di spionaggio a favore dell’Iran, Chalabi, un banchiere sciita che per anni da Londra lavorò per il Pentagono, ha discusso con Sadr un'alleanza a tre con la minoranza sunnita. Secondo il New York Times le trattative, caldeggiate sembra dall'Iran, sono in corso da alcune settimane e Bush ne viene informato dall'ambasciatore a Bagdad John Negroponte.

Da un sondaggio dell' Associated Press, per gli americani la soluzione della crisi irachena è il compito più urgente e importante del presidente. Sette elettori su dieci sono d'accordo con lui che le truppe debbano restare in Iraq finché il Paese non sarà stabilizzato, in modo da evitare che la crisi si trasmetta all'intero Medio Oriente. Altri compiti prioritari per Bush: garantire la sicurezza nazionale Usa contro il terrorismo, ridurre il deficit di bilancio dello Stato e difendere i valori morali.

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