Da Corriere della Sera del 08/11/2004
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/11_Novembre/08/magris.shtml

Le idee di Luttwak sulla strategia

di Claudio Magris

I lapsus esistono anche in politica e sono rivelatori come quelli che, inconsapevolmente, mettono a nudo magagne della vita privata. Edward Luttwak è un eminente politologo americano, ben noto anche in Italia grazie ai suoi libri, sempre intelligenti e stimolanti, e la sua frequente partecipazione a trasmissioni televisive. È un uomo vivace e battagliero e anche cordiale e simpatico, come ho avuto modo di sperimentare personalmente.

Molto vicino al governo repubblicano americano, Luttwak è stato ed è un convinto sostenitore delle guerre in Afghanistan e in Iraq. Ovviamente, Luttwak è sostenitore della politica del presidente Bush in generale. Tuttavia, in una recentissima intervista ad Andrea Visconti, pubblicata sul Piccolo il 6 novembre, egli, attaccando duramente Arafat, difendendo le iniziative americane in Medio Oriente e preannunciando un prossimo progressivo disimpegno statunitense in Iraq, ha - forse involontariamente - svelato l’impreparazione, la superficialità e l’ignoranza politica con cui gli Stati Uniti sono intervenuti in Iraq. «Erano convinti che l’Iraq potesse diventare una democrazia. Gli Stati Uniti, così come tutto il resto del mondo, hanno scoperto che l’Iraq è indietro di un secolo. Ci vorranno cent’anni o magari duecento prima che possa diventare una democrazia».

Vengono i brividi a pensare che la più grande potenza del mondo, prima arbitra e dunque prima responsabile dell’ordine mondiale, abbia una dirigenza politica talmente sprovveduta da decidere di invadere un Paese senza averne alcuna conoscenza, non solo credendo di trovare armi di distruzione di massa inesistenti, ma pensando e proclamando di instaurare rapidamente la democrazia, processo che invece un esperto - che è un sostenitore del governo Bush, non un avversario - afferma aver bisogno di uno o due secoli, un tempo rispetto al quale la differenza tra la fretta di Zapatero di ritirare le proprie truppe e la maggior pazienza di Blair scompare.

Dunque, secondo un esperto decisamente filogovernativo, tutti i discorsi di creare una democrazia in Iraq sarebbero campati in aria. Poiché nemmeno il pugnace Bush è disposto a restare o meglio a far restare per quattro o otto generazioni i soldati americani in Iraq, il suo attuale piano, dice Luttwak, è «il disimpegno», anche se non «improvviso e miracoloso». La realtà della guerra in Iraq ha smentito tutte le attese del governo americano, il quale evidentemente - per una stupefacente mancanza di informazioni - si aspettava che l’Iraq, caduto Saddam, diventasse un Paese tranquillo, mentre è perfino ridicolo che le forze militari americane non abbiano ancora preso Falluja, che evidentemente potrebbero ma non vogliono distruggere in un baleno come una mini Dresda e non sanno espugnare con un blitz come quelli con cui l’esercito israeliano ha più volte battuto, senza stragi, numerosi eserciti arabi.

«I neoconservatori - dice ancora Luttwak - pensavano che l’Iraq potesse essere un’altra Germania o un altro Giappone» ossia che, una volta sconfitto e invaso, cessasse di combattere. «Invece - egli continua - è più come la Spagna con Napoleone o l’Italia per i liberali del 1800». Ossia, secondo le sue parole, è una sconfitta per gli Usa. Luttwak non è un pacifista; più volte, alla televisione, ha deriso - brutalmente, ma spiritosamente ed efficacemente - Agnoletto e la sua vocina. È in nome della Realpolitik, di Machiavelli, dell’arte di fare e preparare la guerra che egli, sostenitore di Bush, dà questo giudizio implicitamente stroncatorio su come è stata decisa e condotta la guerra in Iraq.

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