Da La Repubblica del 06/11/2004

Il generale Cheyre sconfessa le tesi difensive dell´ex dittatore

Cile, l´esercito contro Pinochet "Mai più desaparecidos"

SANTIAGO - Un altro passo: il comandante in capo dell´esercito cileno, generale Emilio Cheyre, ha riconosciuto la responsabilità istituzionale dei crimini commessi durante la dittatura (1973-90). In un documento, consegnato in esclusiva al quotidiano La Tercera e reso pubblico ieri, il generale cancella la tesi degli «eccessi» e della «responsabilità individuale», dietro la quale si sono sempre nascosti i militari accusati di violazione dei diritti umani, e ammette che «l´esercito cileno accettò come legittimo qualsiasi procedimento e mezzo di lotta» compresa la tortura e l´assassinio degli oppositori politici.

Non è la prima volta che Cheyre esprime, come capo dell´esercito, la sua condanna sconfessando il suo predecessore, Augusto Pinochet. Lo aveva fatto in occasione del trentesimo anniversario del golpe parlando di «crimini senza giustificazione alcuna». Ma adesso il nuovo strappo di Cheyre ha a che fare con la giustificazione storica che del terrore di quegli anni hanno dato Pinochet e i suoi epigoni dentro e fuori l´esercito. La scusa secondo la quale, desaparecidos e torturati, furono solo "eccessi" commessi da alcuni senza una strategia istituzionale viene respinta e abbandonata come falsa. E il capo dell´esercito riconosce che l´assassinio degli oppositori fu una "scelta di Stato", voluta e perseguita come tale. Di più: ancora oggi, per difendersi, Pinochet sostiene che "alcuni eccessi" furono inevitabili perché servivano a difendere "il Cile dal comunismo". Cheyre gli risponde che «in nessun caso e per nessun motivo violazioni dei diritti umani possono avere una giustificazione etica».

Il presidente cileno Lagos ha colto subito la portata del documento dell´esercito affermando di averlo letto con «soddisfazione ed orgoglio». Secondo il presidente, la "nuova visione" segna la fine di un lungo e lento processo di transizione iniziato nel ´99, quando i capi militari accettarono di sedersi al tavolo del dialogo sui diritti umani.

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