Da La Repubblica del 04/11/2004

Massimo D´Alema: sbagliate le campagne alla Moore, con il radicalismo non si va da nessuna parte

"La Nuova destra non va derisa per prevalere serve il centro"

"Dalla vittoria di Bush due lezioni per noi: capire le ragioni dell´avversario e parlare a una platea più vasta"
"Fare i conti con la classe dirigente confermata negli Usa. Sarebbe grave se il primo passo fosse la rinuncia a Powell"

di Massimo Giannini

ROMA - C´è una «lezione americana» che la sinistra può cogliere, nella schiacciante vittoria di Bush? C´è un filo rosso che lega la sconfitta inequivoca dei democratici Usa, forse collegata alle confuse ambivalenze di Kerry sulla guerra e sui diritti dei gay, alle difficoltà identitarie e alle ambiguità programmatiche dell´opposizione italiana? Massimo D´Alema non si nasconde, davanti alle troppe domande che in questo amaro «day after» si affollano nel dibattito politico di casa nostra. «Sì - dice il presidente dei Ds - una lezione americana c´è, in questa netta affermazione dei repubblicani. Anzi, ce ne sono due. La prima: dobbiamo capire le ragioni che, dentro le società occidentali, rendono credibile l´offerta politica di questa nuova destra, che si radica e vince non solo negli Usa. La seconda: per vincere, non basta parlare ai nostri elettori, il centrosinistra deve guardare a una platea più vasta, sul piano politico e culturale».

D´Alema non nutriva troppe speranze e alla lotteria elettorale americana non aveva scommesso un solo euro sulla «ruota» di Kerry. Ora non nasconde le preoccupazioni, su come potrà cambiare la strategia di un Bush riconfermato alla Casa Bianca. «È difficile prevedere le mosse dell´Amministrazione. In teoria, finalmente liberato dalle pressioni della riconferma, Bush potrebbe tentare di giocare la carta del multilateralismo, cercando di recuperare un rapporto con l´Europa. Ma in pratica, le cose potrebbero anche andare in modo opposto. Rinvigorito dall´alto consenso popolare, Bush potrebbe addirittura essere tentato di accentuare la venatura ideologica con la quale ha governato l´America e ha regolato le controversie del mondo in questi primi quattro anni, magari dicendo "adesso portiamo la democrazia anche in Iran"». Il presidente della Quercia non si sbilancia in previsioni. «Dobbiamo essere pragmatici, e fare i conti con la classe dirigente confermata alla guida degli Stati Uniti. Molto dipenderà dalle scelte che il presidente farà sul suo staff. Certo, se il primo passo fosse la rinuncia a un "moderato" come Colin Powell, questo sarebbe un segnale inquietante. Confermerebbe che la destra punta a rimarcare la sua impronta ideologica...».

E qui D´Alema passa allo sviluppo della prima «lezione americana». Perché questa destra vince e, soprattutto, convince? La spiegazione un po´ rozza e provinciale che arriva dal Cavaliere suscita una reazione sarcastica, che il presidente diessino liquida così: «Berlusconi dice che Bush ha vinto perché riduce le tasse ai più ricchi? Complimenti, un´analisi profonda: le elezioni politiche più importanti del mondo declinate secondo i meschini bisogni domestici di una verifica di maggioranza...». Poi D´Alema torna serio: «C´è davvero una "nuova destra", che cresce e si espande non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. E noi, se vogliamo batterla, dobbiamo prima di tutto sforzarci di comprenderla. E dobbiamo capire, una volta per tutte, che irriderla e demonizzarla nelle campagne elettorali, non serve a niente e a nessuno. Anzi, semmai la rafforza». Il leader pensa a Michael Moore: «Con certe forme di radicalismo, che un tempo avremmo definito piccolo-borghesi, non si va da nessuna parte». Osserva l´America, ma in traluce ci vede l´Italia. Nanni Moretti, i comici, i satirici, e tutti i girotondini che, in questi anni e in questi mesi, hanno gridato al «regime». «Il tracollo di Kerry nasce anche da qui - ragiona ancora il presidente della Quercia - e ci insegna che questo tipo di campagne elettorali servono anche a mobilitare la tua gente, ma drammaticamente non bastano a vincere le elezioni. Il vero salto, sul piano dei consensi, lo fai solo se riesci a dare una risposta alle domande che si affollano al di là della tua metà del campo».

D´Alema cita Antonio Gramsci: «La chiave dell´egemonia sta nel capire le ragioni degli altri...». Su tutto questo il centrosinistra, e non solo quello italiano, sembra in forte ritardo. «C´è una paura diffusa, tra le opinioni pubbliche. Paura del terrorismo, delle guerre, della globalizzazione. Il riflesso di questa paura è un grande, pressante bisogno di sicurezza. Sicurezza per le persone, ma anche sicurezza dei valori. La "nuova destra" cavalca queste paure e interpreta questi bisogni, in modo retrivo e conservativo. Noi non dobbiamo seguirla, su questo terreno. Ma dobbiamo anche sapere che non ce la caviamo più, sul piano esclusivo del politicamente corretto...». Finora, secondo l´ex premier, questo errore la sinistra lo ha commesso. E il prezzo che sta pagando è alto, «e molto preoccupante: c´è una divaricazione sempre più estesa tra le opinioni pubbliche», e «per noi questa destra, e chi la vota, rischia di risultare sempre più incomprensibile». C´è il rischio che si produca «una frattura orizzontale e culturale, e non più soltanto una semplice divisione politica». Se questo accadesse davvero, la sinistra si condannerebbe a un´eterna sconfitta. Perché l´avversario, «per quanto becero sia, nel frattempo intercetta consensi. E noi non dobbiamo dargli ragione. Ma dobbiamo reagire in chiave positiva, questo sì, tirando fuori le nostre risposte...». La vicenda del recupero delle radici cristiane nella Costituzione Ue, l´attacco di Pera alla «Europa senz´anima», il dibattito sviluppato intorno al caso Buttiglione: tutto questo, per D´Alema, è la conferma «che anche da noi è in atto un recupero della dimensione religiosa, presa di peso dal modello dei neo-fondamentalisti americani: possiamo anche biasimare il fenomeno, ma dobbiamo prendere atto che c´è, e che mette radici nelle opinioni pubbliche».

E a tutto questo (che incrocia questioni trasversali e complesse, dalla famiglia alla bioetica) per il presidente della Quercia non si può rispondere con un´alzata di spalle, o con il rifugio (a volte fin troppo comodo) dei «diritti civili» indiscussi e indistinti. «Non dobbiamo cadere anche noi nella spirale regressiva, non dobbiamo mutuare posizioni retrive e tradizionaliste dalla Chiesa. Ma non possiamo nemmeno, a nostra volta, fornire risposte uguali e contrarie alla chiusura identitaria propugnata dalla nuova destra». Tutto questo, dal punto di vista delle strategie politiche ed elettorali, avvicina la posizione di D´Alema a quella di Rutelli, che ieri ha detto «Kerry ha perso perché ha pronunciato solo tanti no». «È vero, contestare Berlusconi non basta», aggiunge l´ex premier. «Mobilitare la nostra gente è giusto. Ma noi non dobbiamo parlare solo ai nostri elettori...». «L´idea che il centro non esiste è sbagliata», dice D´Alema, che pure resta contrario a un «centrosinistra specializzato», dove il «centro fa il centro e la sinistra fa la sinistra». Bisogna guardare con attenzione a quel «limbo» politico che sta a metà strada tra i due poli, e che non si sente attratto dall´uno o dall´altro. «Non lo vogliamo chiamare centro? Chiamiamolo come vogliamo. Ma in politica, come dimostrano le elezioni americane, c´è un "luogo"in cui si ritrova un elettorato incerto e non schierato, un universo di persone che vuole capire e risolvere i suoi problemi, ma senza chiudersi di fronte a quelli degli altri. E in questo "luogo" noi ci dobbiamo stare, se vogliamo vincere le elezioni». «Come» starci, e con quali proposte concrete, è il tema dei prossimi mesi, di qui al 2006, per Prodi e per la sua «grande alleanza democratica». D´Alema si limita a un suggerimento programmatico: «La battaglia delle idee: il centrosinistra deve re-imparare a combatterla. In Italia e in Europa».

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