Da La Stampa del 04/11/2004

Nel dibattito su coppie, aborto, procreazione assistita, matrimoni gay i dubbi sono considerati debolezze

Sesso, ideologie e diritti

di Pierluigi Battista

E se gli anatemi laicisti fossero essi stessi il sintomo di un disagio della cultura laica? Se la baldanza giacobina che bolla come «atei devoti» (Luigi Manconi vs Giuliano Ferrara, ma il copyright è di Beniamino Andreatta) i liberali che non vorrebbero sradicare la religione dal cuore dell’Europa manifestasse invece il segno di un disagio, di un malessere che spinge a gridare più forte per mascherare le proprie debolezze? In passato nella politica italiana, non la laicità, quanto piuttosto la contro-religione laicista, l’anticlericalismo, o addirittura l’antivaticanismo, avevano vita dura, a cominciare dalla sinistra. Il Pci non era laicista, sin dalla scelta togliattiana di inserire i Patti Lateranensi nell’articolo 7 della Costituzione. Non lo era nemmeno ai tempi del divorzio, e pur di evitare la spaccatura con le «masse cattoliche» mobilitò i suoi più validi ambasciatori, a cominciare da Paolo Bufalini, per evitare l’ordalia del referendum. Neanche i socialisti, decisamente laici, sposarono mai il dogma laicista. Fu proprio Giuliano Amato (assieme al cattolico Gennaro Acquaviva) ad affiancare Bettino Craxi a metà degli anni Ottanta per la stesura del nuovo Concordato con la Chiesa cattolica.

E quando Amato, dubbioso sulla perentoria spavalderia con cui veniva affrontato il tema dell’aborto, cominciò a spendere parole di elogio per i cattolici «con una marcia in più», piovvero le critiche e i distinguo. Così come si addensarono attorno a Norberto Bobbio, che sul «diritto all’aborto» coltivava più di un ragionevole dubbio, freddezze e sospetti. Ma neanche lontanamente paragonabili alle ruvide attenzioni che i radicali italiani dedicano all’attuale tentativo di Amato di rivedere la legge sulla procreazione assistita, aggiustamento che avrebbe come conseguenza inevitabile la vanificazione del referendum sottoscritto per abrogarla interamente, quella legge.

Il tracollo delle ideologie ha proiettato l’identità laica (un tempo appannaggio di esigue «terze forze» e di minoranze intransigenti riottose agli imperativi delle «due chiese», cattolica e comunista) nella dimensione di un contenitore onnicomprensivo che fa del non-cattolico e del non-credente in quanto tale un nuovo contrassegno di appartenenza, molto più impegnativo della pura rivendicazione «laica» di una sfera pubblica non confessionale. Si tratta di una metamorfosi aggressiva che trasforma la laicità intesa come rivendicazione di uno Stato non subalterno al dogma religioso in un laicismo pervasivo che si fa esso stesso legge dello Stato, regolamentazione minuziosa di sfere della vita un tempo sottratte ai dettami di un’etica statalizzata.

E’ il super-laico premier spagnolo Zapatero, paradossalmente, a fare leggi che entrano nelle camere da letto, portando lo Stato nelle scelte sessuali dei cittadini, sia pur per tutelarle con lo scudo «libertario».

E’ la Francia laica e repubblicana che non si limita a impedire la prevaricazione confessionale sulla scuola pubblica, principio-emblema della laicità, ma stabilisce per legge quali indumenti indossare, quali simboli religiosi rappresentino indebita e sanzionabile «ostentazione» di sé. L’etica laica della tolleranza non rischia così di trasformarsi nella retorica intollerante del laicismo che mette la museruola alle religioni? Ecco allora i «laici» sensibili al mondo cattolico come Giuliano Amato che cercano di tracciare una linea divisoria con i liberali insofferenti al laicismo contestando loro «la necessità di costruire su radici e valori della cristianità i contrafforti e le barriere che permettano a un’Europa altrimenti flaccida e inerte di vincere la guerra contro il terrorismo islamico». Il distinguo non è bastato, perché dai microfoni di «Radio Radicale» le critiche a Giuliano Amato non si sono affievolite. Così come a Paolo Mieli non è bastato, per evitare le scandalizzate reprimende laiciste, la preventiva profferta di credenziali «laiche» quando si è trattato di solidarizzare con Rocco Buttiglione.

La riflessione, il dubbio, la perplessità, che in teoria dovrebbero essere caratteristiche peculiari della coscienza e della mentalità «laiche», vengono frequentemente interpretati come debolezze, se non come segnali di «intelligenza col nemico» clericale. Al congresso radicale una pattuglia di dissidenti poco entusiasti del fervore robespierrista della dirigenza del partito viene accolta con fastidio e diffidenza, malgrado l’incontestabile fatto che né Benedetto Della Vedova, né Lorenzo Strik Lievers, né Yasha Reibman, leader della comunità ebraica milanese, siano nemmeno lontanamente sospettabili di simpatie con l’universo del clericalismo. Presentando la proposta diessina di un «patto civile» che finalmente e meritoriamente dia uno statuto che tuteli i diritti delle coppie omosessuali, quasi Piero Fassino si è dovuto scusare nel precisare che non si tratta della linea zapaterista di pura e semplice identificazione dell’unione gay con il matrimonio che prevede due coniugi di sesso diverso. E «clericale» diventa Ernesto Galli della Loggia che dialoga con il cardinale Ratzinger (che cosa si dirà se, come sembra, i dialoghi tra lo stesso Ratzinger e il presidente del Senato Marcello Pera verranno pubblicati in volume?). Del resto, per molto meno la rivista Liberal di Ferdinando Adornato, fautrice di un «dialogo tra laici e cattolici», venne ribattezzata sarcasticamente Clerical. E quando Giordano Bruno Guerri, che pure ha fatto del libertinismo anticlericale la sua bandiera e che con la sua ricostruzione irriverente del profilo di Maria Goretti fece inalberare i cattolici come Vittorio Messori, ha ritenuto giusto difendere la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche italiane, la cosa è apparsa quasi come un tradimento.

Eppure nell’editoria e nelle riviste, la questione dell’identità culturale non disgiunta dall’attenzione per i temi della religione e della fede impegna filoni importanti della cultura laica. Al problema della «fede dei laici» è espressamente dedicata la riflessione di Arrigo Levi nei suoi ultimi libri come un tentativo di costruire un ponte tra credenti e non credenti. Ed è da anni che Gian Enrico Rusconi invita il mondo «laico» dei non credenti a uscire dalla superficialità e dall’indifferentismo a favore della costruzione di un orizzonte etico che deve trovare le sue buone ragioni «come se Dio non esistesse».

Singolare che una parte del mondo cattolico abbia accusato Rusconi di voler «fare a meno di Dio». Singolare che dal mondo laico non si sia avvertito esattamente il contrario, il peso di domande e riflessioni che non possono essere lasciate in appalto ai credenti, quasi ad eternizzare quella «marcia in più» dei cattolici di cui ha parlato Amato, lasciando piuttosto ai laici il monopolio dell’indifferenza e la sottovalutazione degli interrogativi che formano il tessuto dell’identità religiosa. Singolare che anche i dubbi in grado di incrinare l’apparentemente incrollabile certezza laicista sull’illiceità di ogni argine alla sperimentazione scientifica sugli embrioni abbiano trovato udienza anche in parti dell’opinione pubblica tutt’altro che vulnerabili ai precetti della dogmatica cattolica. Si parla del Foglio di Giuliano Ferrara, naturalmente. Ma non è da sottovalutare la circostanza che uno storico della scienza come Giorgio Israel, tutt’altro che estraneo alla cultura laico-progressista di sinistra, abbia espresso la sua contrarietà alle pretese di onnipotenza prometeica di un progetto scientista che non tollera inibizioni nemmeno nell’intervento sulle radici e sulle fonti stesse della vita. E lo stesso vale per le perplessità su un uso disinvolto degli embrioni espresse da due esponenti di una cultura non certamente riconducibile al clericalismo integralista come Giulio Sapelli e Edmondo Berselli.

Dubbi, incertezze, inquietudini che dimostrano quanto abbia attecchito una certa riluttanza all’accettazione irriflessa dell’ideologia laicista anche in chi non è intenzionato a mettere in discussione il postulato laico della separazione tra politica e religione. E che non trovano risposta nell’ennesima riscrittura del catechismo laicista operata dal «Manifesto laico» redatto dalla Critica liberale di Enzo Marzo o dalla polemica ripubblicazione di testi sacri dell’anticlericalismo storico come Il manganello e l’aspersorio di Ernesto Rossi. Un affollarsi di interrogativi che trova, come si vedrà, espressione compiuta nella battaglia per dare una legge anche a una dimensione che sfugge, o dovrebbe sfuggire, a ogni codificazione giuridica vincolante: il sesso.

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