Da Il Messaggero del 03/11/2004
Assassinato ad Amsterdam il cineasta che aveva firmato con “Submission” un atto di accusa sulla condizione delle donne musulmane
Colpevole di essere regista
Van Gogh ucciso dopo le minacce fondamentaliste
di Fabio Ferzetti
ROMA - Un regista ucciso per un film. Non si era mai visto, invece è successo anche questo. Ma la cosa più allarmante è che ad armare l’assassino è stato con ogni probabilità il fanatismo religioso.
Il regista si chiamava Theo Van Gogh, come il fratello di Vincent, del quale era un lontano discendente. Olandese, 47 anni, cineasta ma anche polemista e scrittore, Theo Van Gogh è stato ucciso in pieno giorno mentre pedalava tranquillamente in bicicletta nel centro di Amsterdam. L’assassino lo ha colpito con diverse coltellate prima di sparargli. La polizia ha arrestato il presunto responsabile, un giovane di 26 anni di nazionalità marocchina e olandese, dopo un breve conflitto a fuoco. Ancora ignoto il contenuto del biglietto lasciato dall’aggressore accanto al corpo del regista, ma le autorità olandesi non hanno dubbi sulla premeditazione.
Coincidenza inquietante: l’ultimo film del cineasta era un documentario ancora inedito su Pim Fortuyn, il leader poulista gay assassinato in Olanda due anni fa, nelle cui posizioni anti-immigrazione il regista doveva in buona parte riconoscersi.
Theo Van Gogh aveva infatti ricevuto minacce dopo la messa in onda del suo ultimo lavoro a fine agosto, un esplosivo “corto” da 11 minuti sulla condizione delle donne musulmane intitolato Submission e giudicato insultante da molti immigrati islamici residenti in Olanda. Girato in inglese per garantirgli massima diffusione («Vorrei vederlo su Al-Jazeera», ironizzava Van Gogh, «se trasmettono i proclami di Osama non vedo perché dovrebbero rifiutare i miei lavori»), Submission infrange infatti tutti i tabù legati alla rappresentazione del corpo femminile nell’Islam per sostenere la sua tesi con linguaggio martellante.
E’ il Corano stesso che incita gli uomini a umiliare le donne, sono i sacri testi di Maometto che legittimano la violenza su mogli, figlie, sorelle. E via con attrici nude sotto chador trasparenti, versetti del Corano trascritti sulle carni flagellate, dialoghi privi di qualsiasi ambiguità: «Dio dice che gli uomini sono i difensori delle donne, per questo li ha resi più forti. Io infatti sento la forza del pugno di mio marito sulla faccia almeno una volta la settimana».
E non è tutto, perché la sceneggiatura di Submission è firmata da Ayaan Hirsi Ali, una parlamentare liberale di origine somala, fuggita dal suo paese per evitare un matrimonio combinato, a sua volta sotto scorta da mesi per il suo sistematico lavoro di denuncia degli abusi subiti dalle donne in nome dell’Islam.
Naturalmente non giudichiamo Submission , che non abbiamo visto, né tantomeno la sua opportunità politica nell’Olanda di questi anni, dove i musulmani sono il 5,5% della popolazione. E infatti le autorità tentano anche un po’ pateticamente di raffreddare gli animi, invitando alla cautela quanto al movente del delitto, ovviamente condannato con fermezza dai rappresentanti delle comunità islamiche.
Ma la tragica fine di Theo Van Gogh getta con la massima violenza sul piatto la questione della convivenza fra culture e sensibilità diverse in Europa. Fin dove possiamo arrivare senza rinunciare a noi stessi? Quali sono i limiti, se non della libertà d’espressione, del buon senso politico? Fino a ieri la punta più aspra delle discussioni era il divieto dei simboli religiosi nelle scuole francesi. Da domani cambia tutto. In peggio.
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Coincidenza inquietante: l’ultimo film del cineasta era un documentario ancora inedito su Pim Fortuyn, il leader poulista gay assassinato in Olanda due anni fa, nelle cui posizioni anti-immigrazione il regista doveva in buona parte riconoscersi.
Theo Van Gogh aveva infatti ricevuto minacce dopo la messa in onda del suo ultimo lavoro a fine agosto, un esplosivo “corto” da 11 minuti sulla condizione delle donne musulmane intitolato Submission e giudicato insultante da molti immigrati islamici residenti in Olanda. Girato in inglese per garantirgli massima diffusione («Vorrei vederlo su Al-Jazeera», ironizzava Van Gogh, «se trasmettono i proclami di Osama non vedo perché dovrebbero rifiutare i miei lavori»), Submission infrange infatti tutti i tabù legati alla rappresentazione del corpo femminile nell’Islam per sostenere la sua tesi con linguaggio martellante.
E’ il Corano stesso che incita gli uomini a umiliare le donne, sono i sacri testi di Maometto che legittimano la violenza su mogli, figlie, sorelle. E via con attrici nude sotto chador trasparenti, versetti del Corano trascritti sulle carni flagellate, dialoghi privi di qualsiasi ambiguità: «Dio dice che gli uomini sono i difensori delle donne, per questo li ha resi più forti. Io infatti sento la forza del pugno di mio marito sulla faccia almeno una volta la settimana».
E non è tutto, perché la sceneggiatura di Submission è firmata da Ayaan Hirsi Ali, una parlamentare liberale di origine somala, fuggita dal suo paese per evitare un matrimonio combinato, a sua volta sotto scorta da mesi per il suo sistematico lavoro di denuncia degli abusi subiti dalle donne in nome dell’Islam.
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Ma la tragica fine di Theo Van Gogh getta con la massima violenza sul piatto la questione della convivenza fra culture e sensibilità diverse in Europa. Fin dove possiamo arrivare senza rinunciare a noi stessi? Quali sono i limiti, se non della libertà d’espressione, del buon senso politico? Fino a ieri la punta più aspra delle discussioni era il divieto dei simboli religiosi nelle scuole francesi. Da domani cambia tutto. In peggio.
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