Da Corriere della Sera del 04/11/2004

E Chirac scrive subito al «caro George»

Parigi aveva sperato in una nuova America kennediana. L’Eliseo: «Ora però lavoriamo insieme»

di Massimo Nava

PARIGI - E' una Francia intimidita dall'impotenza delle proprie aspettative, quella che ieri è stata svegliata dalla vittoria di George Bush. Una doccia gelida, arrivata dopo le speranze, coltivate per tutta la notte, di aprire una fase nuova delle relazioni con Washington. Adesso, è nel campo dei delusi, come la maggioranza dell'opinione pubblica europea. Con qualche velleità e illuminismo intellettuale, la Francia aveva scommesso sul risveglio di una certa America kennediana. E su questa scommessa cercava anche conferma della propria azione politica e visione multilaterale del mondo, che l'ha portata al lacerante scontro sulla guerra irachena. Adesso i conti non tornano, perché l'America si sente e vota come un Paese in guerra e se ne infischia «dell'immagine che gli altri hanno dell'America», come ha detto il politologo Dominique Moisi.

Il secondo mandato di Bush obbligherà Parigi anche a ripensare l'intesa con Berlino, perché un atteggiamento solo negativo nei confronti della Casa Bianca potrebbe alla lunga diluire l'intesa stessa e prolungare l'immagine di un'Europa debole e in ordine sparso, ininfluente rispetto ad assi strategici che gli Usa considerano prioritari. Qualche osservatore sostiene che la vittoria di Kerry avrebbe obbligato la Francia ad assumersi nuove responsabilità, in particolare in Iraq. Al punto che proprio il successo di Bush farebbe comodo all'immagine di Chirac nell'opinione pubblica francese e internazionale.

La Francia ufficiale si congratula e mantiene le posizioni. Il ministro degli Esteri, Michel Barnier: «Non si può dirigere il mondo da soli. Americani ed europei devono lavorare insieme, hanno bisogno gli uni degli altri». Dall'Eliseo è arrivato un omaggio al «grande Paese alleato e amico». Chirac, in una lettera che comincia «Caro George», si congratula, auspica che la rielezione «sarà l'occasione per rinforzare l'amicizia franco-americana». «E' in uno spirito di dialogo, stima e rispetto reciproco che si deve continuare a sviluppare la nostra cooperazione, la lotta al terrorismo, l'azione comune per promuovere libertà e democrazia». Al di là della volontà di superare gli screzi degli ultimi mesi, la delusione traspare nelle maratone televisive, nei giudizi di esponenti politici, fino a quello più estremo, espresso dai verdi: «Un giorno di lutto per la democrazia, per la pace e per l'ambiente». «Gli americani hanno scelto la continuità e il conservatorismo», si rammarica il segretario socialista, François Hollande, leader di una gauche che ha serie possibilità di guidare la Francia nei prossimi anni. Anche il capo degli industriali, il barone Seillière, confessava le sue simpatie per Kerry, frutto di una trentennale amicizia.

La Francia non ha smesso di cooperare con Washington su fronti come l'Afghanistan e la Palestina e oggi spera che Bush voglia correggere la rotta e rafforzare il dialogo con l'Europa. Ma molti temono che il consenso ottenuto sulla guerra e sulla sicurezza apra invece la strada ad atteggiamenti ancora più unilaterali. Naturalmente, si tratta di indicazioni premature per tracciare scenari futuri, condizionati, almeno per l'atteggiamento della Francia, anche dal «fattore S». Ovvero Nicolas Sarkozy, il ministro dell'Economia, presto alla testa del partito gollista, in corsa per l'Eliseo. Si sa che Sarkozy ha una diversa visione della Francia e dell'America e che le due visioni, almeno nella sua testa, non sono poi così distanti.

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