Da Corriere della Sera del 05/11/2004

Alain Minc

«È la fine di un’idea di Occidente America più lontana dall’Europa»

Il politologo francese: la sconfitta di Kerry segna il tramonto degli ideali comuni alle due sponde dell’Atlantico

di Massimo Nava

PARIGI - La vittoria di Bush è la fine di una certa idea di Occidente? Se lo chiede, come al solito con il gusto della provocazione, il saggista e politologo Alain Minc, fra i più ascoltati guru dell’establishment francese, che pubblica in questi giorni «Il mondo che verrà» (Grasset). La tesi è suggestiva, ma poggia sull’analisi dell’America di oggi, sulla delusione degli europei, sul comportamento elettorale degli americani. Dice Minc: «La sconfitta di Kerry è la sconfitta di una certa idea dell’America che abbiamo noi europei e che molti speravano che potesse essere resuscitata. In una parola, la fine del sogno americano, dell’America di Kennedy e Woody Allen, degli ideali comuni che avevano unito Europa e Stati Uniti di fronte alle minacce del comunismo e della guerra fredda. Adesso si delinea una situazione opposta: interessi comuni e valori divergenti. E’ l’America a non essere più un Paese occidentale come l’intendiamo noi europei. L’America è cambiata anche sul piano demografico e sociale, guarda all’Asia, alla Cina. Gli effetti dell’immigrazione hanno cambiato il paesaggio politico e sociale e i valori della società civile. In prospettiva, gli asiatici conteranno nelle élites come i bianchi e gli ebrei e i latino americani saranno i nuovi poveri al posto dei neri. Il tutto condizionato dal consolidarsi di una forte impronta religiosa, messianica, che ispira l’azione politica e che costituisce l’arma in più per il presidente Bush. Oggi gli strati popolari, condizionati ai nuovi valori spirituali, sono i battaglioni elettorali per la conquista del potere».

Eppure si continua a riaffermare la necessità delle relazioni transatlantiche e il rafforzamento dei valori comuni.
«Il problema è chiedersi quali siano oggi i valori davvero comuni che uniscono: il mercato, le relazioni commerciali, gli interessi strategici comuni ai Paesi ricchi e il suffragio universale come sistema politico. Ma le società civili, i contenuti etici, appunto i valori si separano. Noi europei diventiamo il congelatore dei vecchi valori occidentali. Pensiamo al ruolo della religione, alla legislazione sull’aborto, alla pena di morte, all’azione politica e alla guerra concepite come una missione da compiere. Tutto questo allontana l’America da una certa idea dell’Occidente che le democrazie europee continuano a rappresentare».

Del fattore religioso nella società americana parlava già Tocqueville, due secoli fa.
«Sì, ma oggi è diventato elemento strutturale, determinante della vita civile e della politica estera. Non è un elemento soltanto spirituale. L’Europa può solo prenderne atto, cercare di essere più coesa e unita e nello stesso tempo prendere le distanze senza troppi traumi da questa America. Più si allontanerà e più sarà costretta ad esistere come entità unita e forte. Ma dubito che i leader europei siano capaci di questa coesione e all’altezza di questa visione. Anche se, paradossalmente, la vittoria di Bush aiuta il divorzio. Ciò che ancora manca è proprio l’idea di un "homo europeanus", come formidabile fattore d’armonizzazione dei comportamenti e di scelte».

Le reazioni in Europa sono contrastanti. Gran parte dell’opinione pubblica sperava in Kerry. La Francia sembra la più delusa.
«Certo, con in testa il sogno americano che non esiste più. Oggi tutti sembrano delusi, tranne Berlusconi che comunque non dovrebbe avere lunga vita politica. Sono deluse la società e la politica francese. Ma, sotto sotto, Kerry avrebbe creato problemi a tutti, in particolare alla Francia. Chi avrebbe osato rifiutare a Kerry una partecipazione militare in Iraq? La Francia e la Germania rischiavano di trovarsi isolate o di essere costrette a cambiare politica. Così, invece, Bush consente alla Francia di Chirac di continuare a rappresentare valori e visioni europee alternative e a catturare il consenso internazionale dell’opinione pubblica anti americana».

Come dovrebbe essere celebrato il divorzio?
«Senza drammi. Un divorzio culturale, filosofico che non significa diventare anti-americani, ma prendere atto che ci sono relazioni commerciali importanti e stabili, interessi economici comuni e valori di riferimento diversi. Noi resteremo l’Occidente e loro diventeranno un’altra cosa. Si può commerciare e convivere con la Cina senza avere in comune la stessa visione del mondo. All’epoca di Stalin si parlava di guerra fredda. Oggi si dovrebbe parlare di pace congelata. I problemi dell’Europa non si risolvono guardando esclusivamente all’altra sponda dell’Atlantico. Anche perché gli Usa guardano al Pacifico. Questo cominciano a capirlo anche gli inglesi. L’unico Paese che in prospettiva continuerà ad avere relazioni privilegiate con gli Stati Uniti è la Spagna, per la grande presenza di popolazione di origine spagnola dall’altra parte dell’Atlantico».

Non crede che il modello americano continui a influenzare tutto l’Occidente e in particolare le giovani generazioni? Pensiamo ai consumi, alle tecnologie, alla musica, agli stili di vita, al cinema di Hollywood.
«Tutto questo conta sempre meno. Anche gli arabi e gli indiani indossano i jeans e bevono Coca-Cola, ma non per questo condividono valori americani».

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