Da Il Messaggero del 01/11/2004

Frenesia senza precedenti

di Anna Guaita

NEW YORK - NON c’è più tempo per riflessioni e approfondimenti. Nelle ultime ore febbrili della campagna elettorale, George Bush e John Kerry marciano al suono di slogan, di frasi dette e ridette che i loro sostenitori conoscono a memoria e spesso scandiscono con loro. La retorica elettorale piove sul bagnato per chi ha già deciso e ha preso posizione, ma non riesce a smuovere gli ultimi indecisi, quel 3-5 per cento degli elettori che avrebbe il potere di cambiare gli equilibri. E dunque la lotta continuerà fino all’ultimissimo minuto, grazie al fatto che negli Usa non esiste il “silenzio elettorale” il giorno prima del voto. Come un tornado, i candidati e i loro luogotenenti bersagliano gli Stati con il maggior numero di indecisi, riversando loro addosso una gragnuola di spot tv, comizi, campagne porta a porta. Kerry ha ieri cominciato la domenica con la messa in una chiesa di africani-americani in Ohio, mentre Bush si è fermato per l’ennesima volta in Florida, con a fianco moglie e figlie. Il vicepresidente Dick Cheney è stato spedito nelle lontanissime Hawaii, e così l’ex vicepresidente democratico Al Gore, perché quelle isole di sogno si sono improvvisamente risvegliate nella colonnina degli indecisi: gli hawaiani avranno in totale solo 4 voti elettorali, ma in una campagna testa a testa come questa non si sputa nel piatto di nessuno, per quanto magro possa apparire. In pista anche l’ex presidente Bill Clinton, incaricato di dar fondo alle sue arti ammaliatrici per ottenere l’impossibile: spostare l’Arkansas, dove Bush conduce con il 51 per cento contro il 46 per cento di Kerry, dalla colonnina repubblicana a quella democratica. La moglie, Hillary, è stata distaccata invece nel New Jersey, lo Stato dirimpettaio di New York, che dopo un po’ di indecisioni è ritornato all’ovile democratico, ma è comunque da tenere sotto controllo e da continuare a corteggiare: i suoi 15 voti elettorali sono preziosissimi.

Tanta attività è normale prima di un voto presidenziale, ma quest’anno siamo a livelli di frenesia senza precedenti, perché alla vigilia dell’apertura delle urne i sondaggi insistono a dipingere il quadro di un’America divisa quasi esattamente a metà. Ieri le rilevazioni di Zogby davano Bush e Kerry pari al 48 per cento, quelle del network Abc davano Bush al 49 e Kerry al 48. Un’unica novità importante era offerta dalla Zogby , prima casa di rilevazioni ad effettuare un sondaggio fra i giovani attraverso i telefoni cellulari. Questa è una fetta della popolazione mai prima ascoltata, e il risultato non sembra lasciare dubbi: il 55 per cento si è detto a favore di Kerry e il 40 a favore di Bush. Il dato conferma il trend nazionale, già rilevato con sistemi più tradizionali, secondo cui i giovani si sono piazzati in forte maggioranza nel campo dei democratici.

Altri sondaggi provano che Kerry è riuscito a riportare nel proprio campo la maggior parte del voto femminile, mentre quello maschile rimane massicciamente fedele a Bush. Le rilevazioni provano anche che il video di Osama Bin Laden non ha avuto l’effetto di influenzare gli elettori in un senso o nell’altro. Il New York Times ha fatto un rilevamento negli Stati in bilico e ha constatato che chi aveva già deciso non se ne è fatto impressionare e non intende cambiare il proprio voto. Parrebbe dunque che gli americani abbiano davvero metabolizzato la figura di Osama, tant’è che il programma satirico Saturday Night Live , un immancabile appuntamento dei week-end, ha osato aprire la serata sabato con una presa in giro del video, con un Osama che fa il predicozzo a Bush e Kerry come fosse un pedante professore davanti a una scolaresca un po’ ottusa.

Il video è comunque diventato tema dei discorsi dei due candidati, pur con la debita cautela: nessuno dei due, né il presidente né il senatore, vuole essere accusato di averlo sfruttato in modo sfacciato. Kerry se ne è servito per ricordare ciò che è ovvio: che Osama è ancora vivo e vegeto e Bush non lo ha né catturato né ucciso. Il presidente dal canto suo lo intesse nelle sue diatribe contro il terrorismo, per ribadire la necessità di «portare la guerra là dove i terroristi si nascondono». Il riferimento è all’Iraq. E non deve stupire: il 60 per cento degli americani che voteranno per Bush rimane convinto che Saddam Hussein e Osama Bin Laden fossero alleati, e che l’Iraq fosse tra gli organizzatori degli attentati dell’undici settembre.

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