Da La Repubblica del 01/11/2004

Bagno di folla in Massachusetts. Il popolo democratico snobba i sondaggi e crede nella vittoria

Kerry prepara la festa in casa "Io difenderò l´America"

di Alberto Flores D'Arcais

MANCHESTER (Massachusetts) - La sirena del camion dei pompieri lacera i timpani mentre decine di clacson suonano all´unisono e il servizio d´ordine tiene a fatica la gente che si accalca verso il palco. Quando il candidato democratico fa il suo ingresso nel largo spiazzo della City Hall Plaza una folla entusiasta urla «Kerry, Kerry» mentre le note di No Surrender (la canzone di Bruce Springsteen diventata colonna sonora delle campagna di Jfk II) escono alte dagli altoparlanti, cantata a squarciagola dalle centinaia di giovani che affollano l´area.

A Manchester, New Hampshire, John Kerry è venuto a chiudere la campagna elettorale prima di volare verso la Florida. E il New Hampshire, piccolo Stato conservatore del liberal New England - che nel 2000 diede i suoi favori a George W. Bush, togliendo a Gore l´ultima speranza di una vittoria senza carte bollate - ha risposto accogliendo a braccia aperte quello che fra 48 ore potrebbe essere il nuovo presidente degli Stati Uniti.

Giunto dall´Ohio dove aveva parlato nella Shiloh Baptist Church di Dayton è piombato a Manchester dove migliaia di persone erano in fila per entrare nell´area del comizio e dove migliaia si sono dovute accontentare delle strade circostanti. Bambini in maschera, zucche di Halloween sul palco, "Superheroes for Kerry" a distribuire volantini. Sul palco, accanto a lui, John Henry e Tom Werner, proprietari dei Boston Red Sox, freschi campioni del mondo di baseball, e il general manager Theo Epstein. Un altro schiaffo per Bush che due giorni fa aveva annunciato che nel suo comizio a Manchester ci sarebbe stato il pitcher e idolo dei tifosi Curt Schilling, che all´ultimo momento aveva declinato l´invito chiedendo scusa ai tifosi per aver mischiato «lo sport alla politica».

«A gennaio in Iowa, quando le cose per me andavano male, qualcuno disse che John Kerry non sarebbe diventato presidente fino a quando i Sox non avessero vinto il campionato. Bene, eccoci qui». Sfruttando l´entusiasmo bipartisan dei tifosi, Kerry ha scaldato la folla per poi attaccare Bush sulla guerra in Iraq e sulla perdita dei posti di lavoro. E giurando che come commander in chief «difenderà l´America come ho fatto quando ero un giovane soldato».

I democratici sentono aria di vittoria e nonostante gli ultimi sondaggi non proprio favorevoli (quasi tutti danno Kerry perdente, Zogby lo stima alla pari) hanno fiducia nell´entusiasmo che il loro candidato sta suscitando anche tra gli elettori più critici e oppongono i numeri del previsto turnout, l´affluenza alle urne che si preannuncia come la più alta degli ultimi vent´anni. Tra i giovani, le minoranze (latinos e neri) e le donne, il candidato democratico ha un vantaggio su Bush tra i 7 e i dieci punti, quanto basta per bilanciare le "armate" del presidente che tra i bianchi della middle class supera di gran lunga il rivale. Ed è proprio negli Stati dove evangelici e Nascar daddys (il ceto medio e operaio che ha come religione le corse delle macchine, le birrerie e il "politicamente scorretto") sono lo zoccolo duro del presidente che i volontari per Kerry - decine di migliaia di persone - bussano freneticamente casa per casa invitando la gente ad «andare a votare e a votare per Kerry».

Mike Swatko, «lontane origini polacche», è arrivato al comizio con tre cartelloni che denunciano i «disastri e le bugie con cui Bush sta portando l´America alla rovina». Sono i numeri dei posti di lavoro persi, dei soldati americani morti e feriti, dei miliardi guadagnati dalle corporation con George W. alla Casa Bianca, e Mike, che si dichiara elettore indipendente, ripete il passaparola («anybody but Bush») che in queste ultime ore centinaia di migliaia di persone si scambiano per telefono ed email. «Non conoscevo Kerry e all´inizio ero un po´ sospettoso, ma con il tempo mi ha convinto; sono ingegnere informatico e ho la fortuna di avere trovato lavoro dopo aver perso quello precedente, ma ho molti amici che dopo un anno sono ancora disoccupati. Questa è l´America di ?W´ (Bush), questa è l´America che deve cambiare». E se vince il presidente? «Me ne vado in Norvegia», risponde ridendo Mike.

Chi non nasconde le proprie paure è Betsy Bragg, insegnante pensionata con un diploma a Stanford, figlia di un avvocato «che lavorava per Franklin Delano Roosevelt», preoccupata dalle notizie che arrivano da Ohio e Florida «dove i repubblicani stanno boicottando i nuovi elettori e non vorrei che ci rubassero la vittoria nel 2000». Nessuno parla di Osama Bin Laden e del video piombato a sorpresa sulla sfida per la Casa Bianca e lo stesso Kerry si dice convinto che lo sceicco del terrore non influenzerà il voto: «Ogni americano ha considerato un oltraggio quello che Bin Laden ha detto del processo elettorale e credo che sia offensivo che qualcuno possa inserire Bin Laden nel contesto politico delle elezioni degli Stati Uniti. Gli americani sapranno prendere le decisioni in base a quello che è il bene per l´America. Io darò la caccia e catturerò i terroristi e porterò a termine una guerra più efficace di quella di Bush».

Per le ultime 24 ore di campagna il partito dell´asinello ha mobilitato tutte le sue energie confidando nel rush finale tradizionalmente favorevole al candidato democratico: quest´anno oltre all´appoggio delle unions e al lavoro delle migliaia di volontari che bussano porta a porta per strappare quello che potrebbe essere il voto decisivo, il factotum del partito Terry McAuliffe confida nella passione anti-Bush dei giovani elettori, quelli che nei polls non vengono considerati e delle numerose organizzazioni non-partisan (in realtà vicine ai democratici) mobilitate per convincere la gente, soprattutto gli indipendenti e gli indecisi, ad andare a votare.

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